Quest’anno l’Oscar per il miglior film internazionale è andato a La zona d’interesse, di Jonathan Glazer. Molti italiani avrebbero preferito la vittoria di Io capitano, che pure è un ottimo film. La zona d’interesse è stato molto apprezzato ma anche molto criticato, sia perché è stato considerato inferiore rispetto al libro di Martin Amis da cui è tratto, sia perché è stato accusato di un eccesso di calligrafismo. Questo “mostrare senza mostrare”, che è la cifra del film, da qualcuno è stato giudicato negativamente. A me La zona d’interesse (nel frattempo sto leggendo il romanzo di Martin Amis, al quale si ispira solo in parte) è piaciuto, se “piacere” è un verbo adatto per un film come questo. Come tutti sanno, il film racconta come si svolgesse serena e idilliaca la vita nella casa del comandante Höss, una villetta adiacente al campo di concentramento di Auschwitz che Rudolf Höss dirigeva. La moglie del comandante, una solerte massaia e madre di famiglia, dirige le attività della schiera di domestiche e uomini di fatica che ha a disposizione, ragazze reclutate nel paese di Oświęcim, forse qualche deportato del vicino lager; provvede ai figli, si cura del giardino, indossa pellicce e abiti che vengono “dal Canada”, ossia dalla baracca in cui si stipavano i capi di vestiario e gli oggetti di valore sottratti ai deportati, e in un’accesa discussione col marito si dichiara pronta a tutto per difendere il suo diritto a quella abitazione che considera il suo “piccolo paradiso”. Paradiso che non è minimamente turbato dalla vista, oltre il muro, delle recinzioni del lager, né dai suoni, dalle voci, dalle colonne di fumo che ne provengono. Imperturbabile, la signora Höss governa il suo piccolo universo familiare, imperturbabile il figlio ancora bambino gioca ai soldatini e si diverte con le protesi dentarie che provengono dai corpi dei prigionieri uccisi. Un po’ meno sereno è Rudolf, non tanto perché turbato da questioni morali, ma perché preoccupato dall’importanza dei compiti che gli vengono via via affidati e che comportano anche un provvisorio allontanamento dal campo e dalla sua famiglia. Meno serena di tutti è la figlia, che non riesce a dormire e siede, a notte fonda, in soggiorno o nell’antibagno, e che il padre amorevole accompagna a letto, leggendole una favola per aiutarla ad addormentarsi.
Una normale famiglia, con normali problemi di gestione familiare, normali vicende relative ai bambini, normali battibecchi tra marito e moglie. Al di là del muro, l’orrore, non detto ma sempre presente.
La visione di questo film mi ha creato una sorta di corto circuito: un collegamento che la mia mente ha stabilito con un’altra pellicola che avevo visto pochi giorni prima. Si tratta di Green border, della grande regista polacca Agnieszka Holland.
Green border racconta ciò che è accaduto nel 2021 sul confine tra Bielorussia e Polonia: il governo della Bielorussia, al fine di esercitare un ruolo di pressione sull’Unione europea, garantiva voli aerei a profughi siriani o afghani, li portava al confine con la Polonia e, attraverso varchi nelle recinzioni, li buttava, letteralmente, in territorio polacco. I polacchi a loro volta, individuati i profughi smarriti nella boscaglia, attraverso gli stessi varchi li respingevano in Bielorussia e lo scambio di migranti indesiderati continuava ad libitum. Il film racconta l’inganno subito da quelle povere persone, la loro sopravvivenza (e in certi casi la morte) nei boschi che si estendono tra le due nazioni, il freddo, la fame; l’aiuto fornito da volontari di associazioni umanitarie, l’addestramento dei soldati polacchi che hanno una sola consegna, evitare cioè che si trovino cadaveri all’interno dei propri confini, per il resto hanno carta bianca. Non so se la Bielorussia continui a trasportare profughi verso i confini europei, so però che di migranti ammassati lungo le recinzioni in filo spinato ce ne sono continuamente, su quel confine e su molti altri, persone che nessuno vuole, costrette a sopravvivere in condizioni bestiali. La Bielorussia ha fatto e fa il suo sporco gioco, l’Europa questa gente non la vuole, nemmeno se sono profughi di guerra che avrebbero diritto all’asilo: il film si chiude con un’immagine di segno opposto, l’accoglienza generosa e premurosa da parte della stessa Polonia verso i profughi ucraini, nel febbraio-marzo 2022. Evidentemente anche tra i profughi di guerra alcuni sono meritevoli di compassione e altri no.
Cosa c’entra Green border con La zona d’interesse? C’entra, perché nella mia testa matta si è prodotto il piccolo corto circuito cui accennavo sopra. In fondo, ho pensato, siamo un po’ tutti come la signora Höss. Non proprio dietro il muro di casa nostra, ma poco più in là, ai nostri confini, persone sventurate, vittime di guerra, fame, sfruttamento, si affollano, vogliono entrare: noi innalziamo muri, srotoliamo filo spinato, lasciamo che barconi affondino e accettiamo che tutto intorno al nostro “piccolo paradiso” si ammassi un’umanità esclusa, indesiderata. Tutto, purché “il nostro stile di vita” possa essere mantenuto.





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