By Gianluca Mantoani

Lavoro come ufficiale d’anagrafe in un piccolo comune della collina torinese e questo mi consente di spendere la maggior parte delle pause pranzo vagando a zonzo fra forre, rilievi, cani che abbaiano in lontananza e orti nascosti nell’aria sonnolenta. E’ una sorta di quotidiana somministrazione di bellezza, con la quale gradualmente mi risarcisco dei molti anni precedenti trascorsi a lavorare nei capannoni e nei cortili di diversi ipermercati.

Fra il 2021 e il 2022 ho esplorato continuamente i sentieri sul versante verso Cordova mentre, a partire dall’inizio del 2023 ho frequentato soprattutto la strada cosiddetta “panoramica”, fra Pino Torinese e la Basilica di Superga, trascorrendo molte pause primaverili ed estive a leggere e scrivere seduto ai tavolini del chiosco bar Panoramix, fra i boschi del Parco Naturale della Collina di Superga.

Poi un giorno, un po’ per caso, un po’ perché le nuvole basse e quasi autunnali sui fianchi della collina di Pavarolo mi richiamavano in quella direzione, ho girato d’istinto la macchina e raggiunto in pochi momenti il bricco lì davanti. L’idea era di fare due passi e trovare una panchina dove fermarmi a leggere. Circa un anno fa, ricordavo, ero stato qui per festeggiare il compleanno di mio figlio mangiando fritto misto alla piemontese e avevo notato un cartello relativo alla “Casa Museo di Felice Casorati”; me ne era rimasta da allora la curiosità irrisolta e quindi, proprio per curiosità, ho imboccato a piedi la strada in discesa indicata dal cartello che era ancora lì, impassibile, ad aspettarmi.

Il paesaggio attorno è ancora, all’ingrosso, quello fissato nelle sue tele da Felice Casorati circa un secolo fa;  è il paesaggio collinare di boschi e di coltivi che sto esplorando da un paio di anni. Le riproduzioni di alcune opere sue e del figlio Francesco, fissate sui muri esterni imbiancati a calce, segnalano la “piccola casa bianca”, che piaceva tanto a Felice Casorati e a sua moglie, la pittrice inglese Daphne Maugham  e che i due acquistarono nel 1930 come rifugio e luogo di lavoro. La casa ha certo perduto l’odore di fieno e di stalla che i Casorati “non riuscivano” a toglierle, ma ha mantenuto il carattere di semplicità appartata per cui venne scelta dai due artisti. Dopo la morte di Felice Casorati quello spazio divenne lo studio di sua moglie ed infine il figlio, Francesco Casorati, decise di affidare la casa al Comune di Pavarolo perché ne facesse un museo. Questo spazio appartato in un luogo così incantevole è infine diventato fruibile dal pubblico a partire dal 2016, grazie alla collaborazione fra il Comune di Pavarolo e l’Archivio Casorati di Torino e ospita di quando in quando esposizioni in qualche modo coerenti coi temi e la sensibilità del lavoro artistico di Casorati.

Il 7 ottobre 2023 ne è stata inaugurata una, di mostra, davvero emozionante, a cura di Collezione Giuseppe Iannaccone, Ciaccia Levi, Paris-Milano Archivio Casorati, dal titolo “Estetica dei Visionari” nella quale sono state riunite alcune opere di Amber AndrewsCharles AverySrijon ChowhduryAlessandro FogoDavid HorváthMargherita ManzelliScipione e Wangechi Mutu. L’esposizione “si sviluppa intorno al concetto di visionarietà che contraddistingue tutti gli artisti in mostra: un tratto inteso come capacità di guardare oltre la realtà sensibile, una dote quasi profetica che li spinge al di là del visibile, a esplorare il sentire più profondo dell’uomo.” il che consuona particolarmente con le mie letture sul tema dell’immaginazione e gli “invisibili”, da Wallace Stevens in avanti.

Wangechi Mutu, untitled 2004

Cos’è, anzi meglio: chi è  un visionario? Questa è la domanda che le tele si rimbalzano da una parete all’altra della stanza inondata di luce in cui Felice Casorati ritraeva Daphne Maugham. Fra questi muri e davanti a questi spazi la risposta sembra meno difficile che altrove: un visionario è certamente una persona che quando guarda nella stessa direzione degli altri può vedere qualcosa di differente. Gli artisti riuniti sui muri del piccolo studio Casorati, hanno nomi importanti, si tratta di figure molto distanti fra loro per tematiche e percorsi ma che le scelte dei galleristi ci mostrano qui accumunate dal carattere metaforico del loro rapporto con il reale; un rapporto – appunto- di carattere visionario.

È qui che mi sono imbattuto per la prima volta nel lavoro di Wangechi Mutu (che io non conoscevo e che mi ha folgorato) artista nata a Nairobi nel 1972 e trasferitasi poi a New York, dove ha completato la sua  formazione e si è affermata a livello internazionale. Quello esposto era un lavoro senza titolo, del 2004,  di circa due metri per uno; un collage a tecnica mista su carta, che oggi fa parte della collezione di Giuseppe Iannaccone.

Il collage raffigura una giovane donna rivestita, anzi “composta”, di motivi e materiali vegetali e legnosi, riccamente trapuntata di globuli chiari che paiono gemme o pietre o punti di luce, adornata di un copricapo ramificato e sormontato da quel che pare essere una divinità scolpita. La figura siede pensierosa a gambe incrociate su una porzione di mondo, una sorta di meteorite fluttuante, biancastro, innervato e come percorso da flussi venosi e aree più scure, apparentemente “malate”, attorno alle quali volano vistose farfalle multicolori. Nella mano sinistra la donna stringe un serpente, la cui testa appare esplosa in un grumo di sangue rosso vivo. Il lavoro è ricco, lussureggiante di motivi grafici, alla maniera di certi lavori di Klimt e allo stesso tempo intriso e denso di un immaginario che mi accorgo di non poter decifrare se non superficialmente. Sto assistendo alla proiezione di uno sguardo radicalmente “altro” sul mio stesso mondo malato. Uno sguardo agitato da una spinta vitale più forte, più aspra ma forse anche più ottimista rispetto agli sguardi che sono abituato ad incrociare.

Chi è un visionario dunque? E’ una persona di cui abbiamo radicalmente bisogno, perché è portatrice di uno sguardo prezioso, che non si costringe ad imitare la realtà, ma ne suggerisce già, di la da quella, le possibili cambiamenti; i margini delle trasformazioni non ancora accadute ma delle quali, però, raffigurandole, ci fa provare da subito e struggente, tutta la nostalgia.


(in foto: Felice Casorati, Daphne a Pavarolo, 1934, olio su compensato)

2 risposte a “Immaginare / Chi è un visionario?”

  1. E un visionario non sa mai cosa accadrà in futuro, ma è abituato a provarci ancora e ancora. E nel corso della sua vita “può fallire molte volte”. Quindi un visionario ha la capacità di resistere. Grazie per l’articolo GianLuca

    Buon sabato j re crivello

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  2. […] da Gianluca Mantoani il marzo 22, 2024marzo 23, 2024 Immaginare / Chi è un visionario? Questo post è stato pubblicato anche su Masticadores […]

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