Quello che sappiamo davvero di noi stessi, degli altri, del mondo.
Le lame tagliano, il sole sorge ogni mattina.
Gli stupidi ci stupiscono, come i geni, ma per ragioni diverse.
Baciamo sulla fronte i figli, la nostra benedizione quotidiana.
Ci bendiamo gli occhi per salvarci, e anche per codardia.
La natura è ostile, anche l’uomo è ostile,
ma con la natura non possiamo farci niente.
Non sto rivelando nulla che già non conosciamo.
Nulla che ci impedirà di inciampare in un sasso
in apparenza lì per caso.
Poi andremo a comperare scarpe nuove, robuste
confondendo l’apparire con l’essere, ancora una volta.
Ci chiedono di essere veri, parsimoniosi e lungimiranti.
Nessuno ci insegna la felicità,
ma conosciamo bene la tristezza e l’angoscia,
così facilmente abbiamo appreso il tormento.
Nasciamo e iniziamo a chiedere, abbiamo una fame insaziabile.
Ci aspetta un futuro pieno di domande, e poche risposte che ci soddisfano davvero.
Manca sempre qualcosa, qualcuno.
Viviamo. Anche senza quel pezzettino, uno dei tanti che non completeranno mai l’intero.
Sentiamo la vita come una guerra.
Vorrei capire chi sia il nemico per chiudere il senso di questo verso.
Forse il nostro sapere millenario, i miliardi di antenati che ci hanno preceduto,
sono un fardello e non un aiuto.
Ci servirebbe una tregua, come fermare le lancette prima di mezzogiorno,
l’istante prima del compimento, dello scatto della serratura.
L’incerto che regna sovrano, l’avvenire che è ancora incompiuto,
e il tempo che è un gioco ancora senza regole.

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