Sul tetto del Duomo, verso il retro, c’è una terrazza: ci si arriva per una scala interna, che dalla sagrestia vien su, ripida, e quando si esce all’aperto, eccolo lì, il campanile, sembra di poterlo toccare tanto è vicino. È proprio una bella vista, specialmente la sera, quando il cielo è sereno e si vedono tutte le stelle, e magari c’è anche la luna piena: questo almeno fino a qualche anno fa, quando la luce che illuminava il campanile era discreta, mentre ora gli sparano addosso certi fari colorati che azzerano qualsiasi altra fonte luminosa, luna e stelle comprese. In ogni caso, è ancora bello, nelle sere d’estate, potersi sedere sui gradini e ammirare la città dall’alto, con la sua tipica struttura medievale.

Ci sono alcune porte che si aprono su quella terrazza: c’è qualcuno che vive lassù, così vicino al cielo. La prima porta è quella dell’arciprete, un uomo massiccio quasi quanto il campanile: vive solo, l’arciprete, con la sola compagnia di Cicerone, Seneca e Sant’Agostino, che non si stanca mai di rileggere. Di tanto in tanto scende in chiesa, per dire la Messa o per confessare o anche solo per farsi una passeggiatina. C’è un vecchio che passa le giornate invernali su una sedia posata sulla grata da cui proviene l’aria calda del riscaldamento. L’arciprete lo conosce: è un senzatetto, un alcolizzato. A volte, la notte, dorme addossato al portone laterale, sdraiato su un letto di cartoni, con una vecchia coperta militare addosso. Chissà il freddo che gli entra nelle ossa, pensa l’arciprete, ecco perché la mattina, quando la cattedrale viene aperta, il vecchio entra, prende una sedia di quelle pieghevoli, la piazza sulla grata e sta lì per ore: deve scaldarsi le ossa infreddolite. L’arciprete non sa dargli torto.

Il sagrestano del Duomo abita con la famiglia nella seconda porta che si affaccia sulla terrazza. Sua moglie è una donna minuta, rossa, anzi, arancione di capelli, il viso coperto di lentiggini, qualcosa addosso come capita. Non ci bada più, ormai: sempre relegata lassù, col cencio in mano e il secchio a fianco, con tutti quei disgraziati piccioni che vengono a far qui i loro bisogni; a stropicciare il pavimento in cotto e gli scalini di pietra serena, consumati dagli innumerevoli passi di preti, arcipreti e monsignori che nei secoli hanno salito e sceso quelle rampe; a stanare la polvere dagli angoli e la muffa dalle pareti, per non parlare poi della pulizia della chiesa. Per quella ci si mette tutta la famiglia: il sagrestano, sua moglie e le loro due figlie, due bimbe magroline come la loro mamma, con le treccine smilze che gli pendono ai lati del viso. Il pavimento non viene mai bene, rimane opaco e chiazzato: una volta per disperazione la donna ha provato, da una parte un po’ nascosta, con l’acido muriatico, e quello appena venuto a contatto col marmo ha iniziato a sfrigolare, la donna si è spaventata,  ha buttato in terra una secchiata d’acqua, ha fatto il possibile, ma quel pezzo di pavimento non è più tornato come prima, menomale che nessuno ci ha mai fatto caso. Le panche vanno spostate almeno una volta al mese, e sono pesantissime; le sedie pieghevoli vanno rimesse a posto tutti i giorni, le statue dei santi e le nicchie dei morti sono sempre piene di polvere, i vasi di cristallo hanno preso un colore verdognolo e non perdono più l’odore dell’acqua marcia. I tappeti e le tovaglie dell’altare hanno perso la brillantezza dell’oro, del rosso e del verde: sono ridotti alla trama e a scuoterli levano un polverone in cui l’odore della muffa e quello dell’incenso si confondono. La moglie del sagrestano raddirizza un momento la schiena e si scosta un ciuffo dalla fronte, con la mano che sa di varechina. I suoi capelli color carota sono ispidi per tutta la polvere che hanno respirato, le sue mani sono ruvide e si spellano alle nocche, la schiena le fa male. Non esce mai: se casomai esce un momento per andare alla bottega ci va in ciabatte, perché ha le cipolle ai piedi e perché ormai non le importa più di nulla.

Sulla terrazza si apre una terza porta: là viveva fino a qualche tempo fa un vecchio pretino, vecchio vecchio e magro magro; adesso che è morto, è venuta a starci, per la troppa bontà dell’arciprete, una donna strana. Si chiama Bonaria, ha un corpo squadrato e un’età imprecisabile, porta un vestito nero, sempre lo stesso, lungo fino a terra, e si copre il capo e la fronte con un velo nero, come una suora, ma non è una suora. Le bimbe del sagrestano si divertono a spiarla: si appostano in cima alle scale, la donna è spesso fuori, e aspettano che arrivi. Quando sentono il suo passo pesante e il suo respiro corto scappano a nascondersi, soffocando risatine nervose, ma non appena quella è entrata in casa sua si accoccolano sotto la finestra che dà sulla terrazza e stanno a vedere che fa. Nella casa di Bonaria c’è un percorso obbligato, le cui stazioni sono costituite da immagini dei santi e della Madonna appiccicate sul pavimento e sulle pareti. A ogni immagine la donna si ferma, recitando a voce bassa certe sue litanie e filastrocche. Poi va verso un armadio e lo apre, ma non è un armadio, è un altare. Una zaffata di fiori appassiti e marci ne viene fuori con forza. La donna cambia l’acqua, sostituisce i fiori, accende le candele, stende uno stuoino e si inginocchia. Sant’Antonio, santa Rita, san Francesco e santa Chiara le sorridono con affetto: conoscono la sua devozione. Ma quella che la guarda con vera tenerezza è una Madonna bellissima, con un vestito tutto rilucente d’oro e d’argento, la corona in testa e Gesù Bambino tra le braccia. È la Madonna di Bonaria, si chiama come lei, si salvò miracolosamente da un naufragio, chiusa dentro una cassa di legno, e venne a posarsi dolcemente a riva, dove poi fu innalzato un santuario, una storia meravigliosa. Bonaria si è fatta fare da un falegname che conosce una piccola riproduzione dell’originale statua lignea e in un impeto di commozione la preleva dal piedistallo su cui l’ha posata e se la stringe al cuore. Alla finestra, alle sue spalle, spuntano due testoline, le bimbe curiose del sagrestano bisbigliano e ridono piano. Da un pezzo ormai Bonaria sa che la spiano, ma non se la prende: sono due stupidelle e quello che non sanno è che lei è una creatura prescelta dal Signore. La vedono, di tanto in tanto, sedersi al tavolo di cucina, inumidire una matita con la saliva e scrivere, con la sua grossa calligrafia sbilenca, su striscioline di carta che poi ripone nel cassetto, proprio sotto il ripiano del tavolo. La vedono, ma quello che scrive non lo sanno, e non sanno che quello che scrive, è Dio a sussurrarglielo in un orecchio. Sì, è così: ci sarà una nuova rivelazione, e Dio ha scelto proprio lei, la più misera e insignificante tra le sue creature, per diffondere il suo verbo. Il mondo ormai va dritto verso la rovina, è necessario ravvedersi, fare penitenza: per il momento Bonaria si limita a prendere nota dei concetti che Dio, in modo apparentemente disordinato viene rivelandole, ma presto il disegno sarà completo e toccherà a lei diffonderlo tra le genti.

Qualche volta Bonaria ha provato a parlare con le figlie del sagrestano, ma quelle sciocchine le sono scoppiate a ridere in faccia. La loro madre è andata a lamentarsi dall’arciprete.: non vuole che quella pazza dia fastidio alle sue figlie, gli metta in mente chissà che stupidaggini. L’arciprete ha allargato le braccia: è strana, d’accordo, ma non è una cattiva donna; ha le sue fissazioni, è vero, ma chi non le ha, dopotutto?  E poi si rende utile alla Chiesa, ogni mattina visita tutte le edicole della Madonna, le conosce tutte e non ne salta una: quelle di città, tra una bottega e un palazzo vecchiotto, e quelle di periferia, nascoste in certi angolini quasi campestri, tra i papaveri e l’ortica che crescono lungo i muri. Cambia l’acqua, dispone i fiori, accende un lume, dice una preghiera: chi altri lo farebbe? Una volta, pensa l’arciprete ma non lo dice alla moglie del sagrestano, la si sarebbe arsa sul rogo, ma al giorno d’oggi, in fin dei conti, ognuno ha diritto a coltivare la propria eresia. E la sua, dopotutto, non è tra le più gravi. Ma la moglie del sagrestano non è persuasa, e quando va a fare la spesa si ferma a parlare con le mamme dei bambini che frequentano il catechismo, le vuole mettere in guardia, che forse non si sono accorte di nulla. Una donna mezzo matta, anzi, matta del tutto: abborda i bambini, la scusa è quella di mostrar loro una scimmia minuscola che porta cos sé, chiusa in una gabbietta, povera creatura, piccola come un ranocchio, con una coda lunga così, impazzita a furia di stare rinchiusa. Non fa che squittire e saltare da un angolo all’altro della sua minuscola prigione: i bambini si affollano per guardare e la pazza ne approfitta per mettergli in testa chissà che idee, e gli infila nelle tasche dei pezzetti di carta su cui ha scarabocchiato frasi senza senso. Controllino, le mamme, interroghino i bambini, frughino pure nelle loro tasche.

Non passa qualche giorno che una delegazione di mamme va a parlare con l’arciprete, minacciando di non mandare più i bambini al catechismo. Perfino la catechista, una mingherlina di una certa età, il cui labbro superiore è ornato da una brutta verruca, deve confermare: ha notato anche lei la donna che si aggira nei dintorni delle aule parrocchiali, aspetta i bambini, parla con loro, per non parlare di quella scimmia, chissà che malattie porta, quella bestiola, si sente il puzzo da lontano…

«Perché non me ne ha parlato prima?», le chiede l’arciprete, ma la catechista scuote la testa: certo lei non credeva, non era in sospetto…

«Come dire, giacché Monsignore ospita la donna in cattedrale, non pensavo…»

Monsignore è addolorato. Le circostanze lo costringono a prendere una decisione che la sua larga tolleranza gli avrebbe risparmiato volentieri. Deve allontanare l’eretica, la molestatrice. Di più, deve farsi restituire le chiavi delle edicole della Madonna, e questo è ciò che più gli dispiace: chi se ne prenderà cura, d’ora in avanti?

Ora, al di là della terza porta sulla terrazza verrà ad abitare il giovane cappellano che da qualche tempo lo aiuta nel pesante governo della parrocchia. La moglie del sagrestano ha un bel daffare per pulire e disinfettare bene l’appartamento: soprattutto ci sono quelle benedette figurine di santi e madonne che non si staccano da terra e dalle pareti, al punto che deve grattarle con le unghie. La donna sospira: tutte a lei, devono capitare. Il giovane cappellano viene su ogni tanto, inizia a portare la sua roba. A vederlo, non si direbbe neppure che è un prete, perché veste come tutti i giovani d’oggi, con i jeans e una maglietta, sembra proprio un ragazzo. Con lei, poi, è sempre gentile: la donna cerca di ricambiare il sorriso. Si guarda le mani spellate e i piedi nelle ciabatte. Improvvisamente decide di andare dalla parrucchiera, di comprarsi un paio di sandali e un vestito nuovo, sabato prossimo, al mercato. Il cappellano è proprio un bel ragazzo: ed è così gentile.

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