Di Gianluca Mantoani
Capovolgendo la metafora amara di Carlo Levi, andiamo per una volta a prendere le pietre dal lato composito in cui si comportano come parole e per questo producono effetti sulla vita. Come del resto fanno davvero , materialmente, le parole, pur essendo esse stesse sostanze immateriali. E davvero lo fanno – le pietre come le parole: producono effetti sulla vita; si strutturano in discorsi e indirizzano chi le usa. Proprio come a parole – allo stesso modo che con la pietra – si possono alzare muri e porre ostacoli, fare strade e perfino gettare ponti.
Con Aristotele, gli antichi ritenevano che i materiali solidi prendessero forma all’interno della terra, i metalli per effetto del calore umido mentre le pietre e i minerali per esposizione al calore secco. “Ma la capacità più importante e straordinaria tra tutte – ammesso che esista davvero – è quella delle pietre generatrici.”
Così diceva Teofrasto di Ereso, successore di Aristotele alla direzione del Liceo, nella sua opera “Peri Lithon” ovvero: “Sulle Pietre”; dove con “pietre” lo studioso di Lesbo intendeva tanto i minerali quanto le gemme, le argille, le rocce, le terre e perfino le perle; insomma tutto ciò che può estrarsi dal sottosuolo, esclusi gli “acquosi” metalli.
Ora, cosa fossero in realtà queste pietre “generatrici“, di quale facoltà si trattasse, Teofrasto non si attarda a dire, preferendo puntualizzare che molto più rilevante di qualunque altra caratteristica delle “pietre” è proprio la loro attitudine ad essere lavorate e trasformate: “…alcune pietre, infatti, si prestano a essere incise, altre a essere tornite, altre ancora a essere segate; alcune pietre non sono in alcun modo lavorabili con arnesi di ferro, altre male e a stento.”
Restiamo dunque affidati a noi stessi, al nostro vedere, toccare e ancora ricombinare e immaginare l’intreccio di granuli e vene scistose, di pori gassosi e improvvise lucentezze, per sperimentare e comprendere a cosa alludesse Teofrasto col suo incurante riferimento al potere “generativo” delle pietre. Eppure, facendo silenzio, se ne può sentire la voce sfiorando appena il muro a secco col dorso della mano, la sera, mescolata al calore che si rifrange nell’aria sul finire del giorno. E ancora, sempre in silenzio, se ne può capire la presenza quando il sole radente del mattino apre le prime ombre allungate sui massi affioranti e risalta i disegni millenari sugli altari neolitici dei primi montanari.
Da lì in avanti, ogni opera incerta o squadrata che fosse, ogni parola di pietra, ogni voce del glossario litico, dalla scintilla cristallina fino al rimbombo della selce sul muro e giù a valle, la brillante massicciata della bruna ferrovia, tutto il paesaggio costruito deve a questa voce pervasiva e silente la forza del proprio discorso; la concretezza stessa del proprio chiassoso essere presente.





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