Di Pina Bertoli

Vivere di sola penna è un lusso riservato a pochi. Soprattutto agli inizi, conciliare la passione per la scrittura con le necessità economiche è una sfida ardua. Per questo, molti autori, anche nel passato, hanno affiancato alla creazione letteraria lavori più convenzionali, un’esperienza che ha spesso lasciato un’impronta indelebile nelle loro opere, arricchendole con sfumature tratte dalla vita quotidiana.

Chi avrebbe mai pensato che alcuni dei più grandi scrittori della storia avessero iniziato come macchinisti, insegnanti o persino detective privati? Un percorso professionale a volte tortuoso, ma che ha arricchito la loro immaginazione e la loro scrittura, dimostrando che l’ispirazione può nascere nei luoghi più inaspettati.

Famosi giganti della letteratura i cui romanzi hanno cambiato il mondo e il modo in cui pensiamo e viviamo non fanno eccezione. Avevano lavori estremamente strani e mal retribuiti prima di diventare scrittori a tempo pieno.

George Orwell è stato un ufficiale della polizia imperiale indiana in Birmania. Herman Melville – cos’altro poteva fare… – fu impiegato come mozzo su una nave da crociera, ma il suo lavoro fu soprattutto quello di impiegato di banca. Agatha Christie era volontaria in ospedale.

Charles Dickens fu operaio: a soli 12 anni lavorava come operaio in una fabbrica che produceva etichette per scatole che contenevano lucido da scarpe.

Arthur Conan Doyle era un chirurgo: aveva studiato medicina presso l’Università di Edimburgo e per anni si dedicò alla professione, prima sulla baleniera Hope of Peterhead e poi a bordo della SS Mayumba diretta in Africa. Nel 1882, quando tornò in Inghilterssa, Arthur fondò un suo studio medico privato. Fu proprio in questo periodo che, tra un paziente e l’altro, si divertiva anche a scrivere racconti.

Murakami, dietro il bancone di un jazz club, ha ascoltato i battiti della città e li ha trasformati in note e parole.
Grisham, immerso nel mondo legale, ha scoperto l’intrigo e la suspense delle aule di tribunale, ma ha lavorato anche in un vivaio: veniva pagato un dollaro l’ora per irrigare i cespugli.

Kafka, alle prese con moduli e burocrazia, ha rivelato l’alienazione dell’uomo moderno.

Dalla tastiera del pianoforte alla tastiera della macchina da scrivere, Joyce ha esplorato diverse forme di espressione artistica. Vonnegut, invece, ha scambiato le parole con gli attrezzi da lavoro, passando da un’officina all’universo letterario.
Salinger navigava tra le onde dell’oceano: è stato un intrattenitore su una nave di lusso svedese. Palahniuk come meccanico, si sporcava le mani di grasso nei motori diesel, ma è stato anche un lavapiatti e un proiezionista.

Stephen King, dopo la laurea, ottenne il certificato per l’insegnamento alle scuole superiori, ma per circa un anno fu costretto a svolgere le più diverse occupazioni: benzinaio, spazzino, bibliotecario e inserviente in una lavanderia industrialeDon De Lillo lavorava come parcheggiatore.

Margaret Atwood lavorava in un coffe shop a Toronto. Jack Kerouac era un tuttofare: ha lavorato come benzinaio, raccoglitore di cotone, guardia notturna e marinaio. Harper Lee ha lavorato per anni in un centro di prenotazioni per una compagnia aerea. Francis Scott Fitzgerald lavorava in un’agenzia di comunicazione scrivendo slogan.

Il nostro Erri De Luca è stato operaio, camionista e muratoreGadda faceva l’ingegnerePontiggia il ragioniereSinisgalli il matematico, diresse con metodi innovativi l’ufficio sviluppo e pubblicità della Olivetti. In Olivetti lavorarono anche i poeti Franco Fortini e Giovanni Giudici che, prima della scelta letteraria, frequentò a Roma la facoltà di medicina, e gli scrittori Giorgio Soavi e Paolo Volponi, che a Ivrea diresse i servizi sociali aziendali, mentre il poeta Ottiero Ottieri era addetto alla selezione del personale.
Giuseppe Pontiggia lavorò in un istituto di credito, ma optò infine per l’insegnamento serale, che gli consentiva di dedicare più tempo alla scrittura.

Italo Svevo fu impiegato nella filiale triestina della Banca Union, prima di entrare nell’azienda del suocero. Laureato in chimica, Primo Levi divenne direttore di una ditta di vernici nel torinese, dove era stato assunto come impiegato. Stessa qualifica, ma al catasto di Asiago, per Mario Rigoni Stern, che ottenne il prepensionamento per ragioni di salute. Leonardo Sciascia lavorò sette anni al Consorzio Agrario di Racalmuto, Elio Vittorini fu contabile e correttore di bozze. Mario Tobino era uno psichiatra.

Quante sorprese!

Una replica a “Che lavori hanno fatto i grandi scrittori per mantenersi?”

  1. Ha ragione, da sempre è fatica comune a quasi tutti gli artisti quella di sbarcare il lunario! 

    E dice bene di Giuseppe Pontiggia che ho incontrato negli anni ’70 proprio alla scuola serale per “lavoratori studenti” di Milano “Barnaba Oriani”;  era il proff. di italiano, ci illuminava e devo a lui l’aver conservato la voglia di scrivere.

    La sua  scelta di lasciare il posto in banca, un miraggio ai tempi,  incomprensibile ai più,  l’ha raccontata nel libro: “La morte in banca” per Mondadori edito nel 1979

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