Con “Di un’altra voce sarà la paura” (Leonida Edizioni, 2024) Yuleisy Cruz Lezcano, con una straordinaria poetica sociale, cruda e realista, impasta la sua carne alle carni delle donne offese, trafitte, colpite, dissacrate, stuprate, uccise. Diluisce la sua anima nelle anime di queste donne, anime spinte ad un senso di atroce claustrofobia dentro la loro stessa afflitta carne. Poesie che restituiscono loro una vita, la pietas, la dignità, ed una voce potente che squassa i silenzi di una post cronaca giornalistica fatta di freddi numeri e indignazioni che sbiadiscono nel tempo, poesie che restituiscono indirizzi a case mute fatte di stanze vuote e di abbandoni.


Particolare di copertina: “Venature di dolore” Illustrazione di Orlando Poggi


45 poesie che partono proprio da qui, da 45 veri casi di cronaca. Yuleisy, quali ragioni ti hanno spinta ad entrare così in profondità, andando ben oltre la semplice denuncia, affrontando un percorso faticoso, così lo percepisco e riconosco, così dolorosamente empatico, facendoti attraverso le parole tu stessa 45 volte vittima?

Bisogna dire che quando si parla di violenza contro le donne o di violenza di genere siamo di fronte a un problema persistente e strutturale e non solo davanti a una piaga sociale, esiste in qualunque razza, in qualunque condizione. Lo dicono i vari osservatori sulla violenza di diversi paesi del mondo, quindi questo è un fenomeno trasversale ed è una violenza che continua “uccidendo” donne, anche in vita, perché ci sono vite fatte a pezzi, vite piene di paura, di sensi di colpa e di assenza di speranze, questo accanto al fatto che la maggioranza delle vittime non denunciano. Non possiamo dimenticare che la violenza strutturale va a braccetto con la violenza culturale, perché se la violenza strutturale si normalizza, è la violenza culturale che rende possibile questo fenomeno. Infatti, la violenza ha molteplici facce (sessuale, fisica, psicologica, economica, ecc). Per quel che riguarda la violenza visibile in ambito domestico (tra le più frequenti) di solito sono precedute da un insieme di violenze invisibili o nascoste che permettono che la violenza arrivi a diventare visibile.

Di fronte a questo molte associazioni, istituzioni e organi che si occupano di violenza sottolineano l’importanza di educare sin dall’infanzia. È chiaro che questo è un problema che necessita non solo di investimenti istituzionali e di maggiore attenzione legislativa, ma è soprattutto un problema che richiede un cambiamento di mentalità, che stenta a prodursi. Più in là della risposta sociale, giuridica e delle forze dell’ordine, di fronte alle aggressioni maschiliste, preoccupa l’educazione di chi erediteranno il futuro ed è per questo che le iniziative dei singoli possono fare tante piccole differenze, che sommate possono raggiungere un’importante totalità. Io mi sommo a quelle piccole gocce, ho deciso di affrontare la violenza contro le donne in chiave poetica, di prestare la mia voce a chi non ha potuto farsi sentire, a chi non ha potuto fermare la violenza, a chi invece è diventata una sopravvissuta.

La violenza di genere è un episodio che mi è toccato vivere molto da vicino. Io, mia madre e mio fratello siamo state vittime di questo tipo di violenza durante la mia infanzia, e siccome la vita spesso crea le situazioni propizie per darci l’opportunità di trasformare il dolore in altro, mi aggancio al pensiero della poetessa uruguaiana Cristina Peri Rossi (1941):

“Con il dolore possiamo fare due cose: trasformarlo in odio, in rancore, oppure elaborarlo, sublimarlo e trasformarlo in crescita, poesia, letteratura, fratellanza, solidarietà con le vittime. Questa è stata la mia strada”.

Anche io ho fatto questo, durante il mio lavoro al consultorio famigliare a Bologna, ho sentito tantissime storie di violenza durante i colloqui per la legge 194 che si occupa anche dell’assistenza alle donne che richiedono l’interruzione di gravidanza: ho sentito storie di violenza inattesa da parte di alcune amiche, poi per aiutare le persone ho fatto ricerca e ho studiato tanto sul fenomeno, così da offrire a queste donne un aiuto informato, concreto, professionale e soprattutto umano. Inoltre tutti i fatti di cronaca che ci investono quasi tutti i giorni, mi hanno portata ad approfondire ulteriormente le mie conoscenze e i numeri sono davvero elevati, nonostante il fenomeno è molto sottostimato, perché molte donne per diversi motivi scelgono il silenzio.

Per tutto quanto sopra, oltre ad aiutare per tanti anni le donne vittime di violenza, attualmente ho deciso non solo di diffondere questo libro ma di renderlo un progetto itinerante, quasi una scusa per parlare e creare momenti di condivisione, di sensibilizzazione e approfondimento sulla violenza di genere, in modo di educare a una giustizia paritaria, a delle relazioni equilibrate, all’empatia, all’affettività, ponendo anche l’attenzione sull’importanza di curare il linguaggio.

Tra le pagine di quello che sembra un libro di poesie che parla di violenza come tanti altri, si nasconde un libro che entra nelle parole, per dare un volto, occhi, braccia alla violenza; un libro che parla del trauma di stupro, della dissociazione verso la realtà e dello spossessamento del sé che il trauma provoca; un libro che riconosce senza censurare l’odio, il rancore, la rabbia delle vittime; un libro che oltre a usare la mimesi, evocando con accostamenti poetici immagini, per ricreare il fenomeno e fare entrare il lettore nel dolore, dà anche delle vie di fughe come catarsi per uscire da tanto dolore.

La poesia poi, mi ha aperto nuovi mondi di associazioni, di considerare la realtà come una vasta rete di analogie, alludendo, senza raccontare la storia vera e propria, lasciando che un oggetto mi conduca ad altro. Così all’interno del libro ho parlato di storie vere senza raccontare la storia ma creando immagini che ci fanno entrare nelle loro radici. Il linguaggio appare così con la sua incessante prefigurazione. In questo libro sono entrata nel trauma e la rivelazione di quello che la donna sente è il suo paradigma. Da qui si evince che la metafora sia dominante del racconto in relazione con la storia che racconto. Metafora e immagini divengono parte della stessa acqua discorsiva. Credo che scrivere del fenomeno violenza donna in chiave poetica mi ha permesso di descriverlo non solo attraverso il linguaggio, ma anche di vederlo come linguaggio.

Ritengo la poesia una cura, una cura per chi la scrive così come per chi la legge, e non posso quindi che ritenere questo tuo “Di un’altra voce sarà la paura” una cura notevole che merita quante più letture possibili, senza esclusione alcuna. Per questo, con una certa convinzione, ritengo dovrebbe essere inserito tra le letture scolastiche medie e superiori.

Non nego che questo obiettivo rientra tra i miei progetti. Sicuramente, è necessario chiarire che il target va dai 14 anni in su. Nel mio progetto di sensibilizzazione verso il fenomeno in qualche misura sopperisco alla mancanza di esaustività del libro, dato che le storie di violenza sono tante, diverse, variegate. Avere la possibilità di parlare di violenza e di sensibilizzare riguardo al fenomeno, lo ritengo una risposta istituzionale importante. Posso mettere a disposizione non solo la mia poesia, la mia capacità comunicativa ed empatica, ma anche le mie conoscenze riguardo al fenomeno per potere rilevare in anticipo il fenomeno di violenza, per riconoscerla, per cercare di dialogare con i ragazzi, per sfatare stereotipi, ideologie e pratiche sessiste. Credo nel ruolo della cultura, dell’educazione per promuovere nuovi schemi sociali e credo che anche se la poesia non ha fini, possa essere uno strumento utile per promuovere empatie ed emozioni positive, per ascoltare le inquietudini e fare toccare con mano le parole.

Il dialogo con gli autori è un momento che potrebbe sembrare ludico e invece per questo motivo lascia ai discenti maggiormente liberi di esprimersi, di riflettere, di sentirsi ascoltati e compresi. La poesia così aprirebbe un canale per parlare di equità, di educazione all’affettività, di prevenzione primaria.

Il progetto letterario potrebbe ben integrarsi con altri progetti pedagogici e di educazione civica e dato la rilevanza dell’argomento, agire su diversi fronti e potrebbe fare emergere le radici di un conflitto e veicolare i cambiamenti.

È questo un augurio che faresti alla tua poetica? Fin dove vorresti riuscire a spingerti, ad arrivare, con il tuo messaggio?

Non credo che tutte le violenze siano la stessa violenza, e ciascuna di essa ha la sua logica perversa, così ho deciso di trattare la violenza pensando a Proteus, ognuna con la propria faccia, diversi volti, ma un unico filo conduttore, “la violenza”. Non ho cercato di spiegare questi volti, né di trovare delle giustificazioni, non credo possa essere utile schematizzare il fenomeno per comprenderlo, nemmeno credo sia utile inserire questo fenomeno in una catena razionale di cause, ma ho voluto porre il riflettore sulle conseguenze, sul trauma, senza l’aspirazione sociologica di fare diventare la mia raccolta un articolo accademico, nemmeno ho voluto fare tramite la poesia una confezione di impotenza, un lamento riflessivo e sentito, oppure usare il fenomeno della violenza come prodotto di un opportunismo per ottenere visibilità, ma ho voluto dire una unica cosa “la violenza è qui tra di noi” e provoca davvero tanti traumi, nonostante riassumere tutte le storie di violenza sia veramente impossibile. Il libro non è la costruzione di una loro cronologia, ma uno strumento che uso per sensibilizzare.  Considero, pertanto, questo un libro necessario, per portare alla luce situazioni gravi che spesso permangono nascoste nel silenzio.  Se qualcosa non manca riguardo al fenomeno è informazione su questo orrore quasi quotidiano.  Le vittime contemporanee spesso si trovano non protette e continuano ad essere innocenti come tutte le vittime della storia di abusi di genere. Vorrei porre con le mie presentazioni l’accento sulle dinamiche sociali che hanno fallito nel tentativo di prevenire la violenza di genere, descrivere la malvagità metafisica o quotidiana, spopolata da ogni calcolo strategico e diventate stile di vita. Portare alla luce l’aberrazione della violenza, che non ha in sé un proposito.

TV e giornali informano e amplificano giustamente questi casi, ma spesso l’eccedere sensazionalistica porta al rischio di qualunquismo deleterio, addirittura, a mio modesto avviso, fomentatore di paure e rancori, con il rischio ultimo di creare un’infinita diatriba donna/uomo.

Sicuramente, la comunicazione sociale di massa ha un ruolo importante nell’affrontare il fenomeno, con le notizie sensazionaliste si può nuovamente rendere vittima la vittima, perché spesso mostrano le vulnerabilità della vittima, polemizzando su cosa faceva la vittima, introducendo interrogativi sociali.  Il sensazionalismo giornalistico, si sa, usa una dinamica attiva per cercare di rigenerarsi attraverso la captazione e l’amplificazione degli ascoltatori, così si massifica l’argomento violenza, usando un linguaggio e una certa estetica presente nella cultura popolare. Questo come si può immaginare ha una grande influenza sul sentire collettivo e le vittime giocano un ruolo fondamentale in questo modello giornalistico. Così la diffusione si avvale di una serie di strategie discorsive deliberate per ottenere una reazione emotiva del lettore. Senza curare la comunicazione però, si veicolano stereotipi di genere, si normalizza la relazione di potere, disumanizzando la violenza e trasformandola in un circolo vizioso, facendo notizia della vita privata della vittima, che rivive continuamente il proprio dolore. Il qualunquismo diviene deleterio perché senza curare la comunicazione si perpetua una violenza simbolica e successivamente la vittimizzazione secondaria.

Bisogna promuovere buone pratiche comunicative per prevenire la vittimizzazione secondaria, curando anche le trasmissioni di immagini, perché le immagini non solo aiutano a formare le visioni del mondo, ma possono costruire opinioni di valori su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato.

Dello stesso modo in cui i mezzi di comunicazione si intromettono nella privacy delle celebrità, si intromettono anche nella vita e nella privacy delle vittime e del loro carnefice, con la differenza che, in genere, questi ultimi prima di questo momento non erano stati mai bombardati dai media, nemmeno sono abituati a stare costantemente davanti a una telecamera. Pertanto queste persone possono vivere un trauma di gran lunga superiore e contro la loro volontà. Nonostante questo se si trattano le notizie con sensibilità, curando la comunicazione, con rispetto verso il caso della vittima, questa comunicazione può servire come aiuto e addirittura come un mezzo per lenire il trauma, può servire come compagnia nella sua sofferenza emozionale. Io non mi addentrerò ora nelle varie fasi di una comunicazione corretta e rispettosa, ma certamente perfino la scelta del momento in cui fare le varie interviste alla vittima è fondamentale. Così come bisogna curare l’uso di eufemismi, che possono avere il contro-effetto che venga a meno l’identità della vittima e che essa venga sostituita dall’apodo utilizzato. Ho sentito e risentito per scrivere il libro “Di un’altra voce sarà la paura” i fatti di cronaca in cui si raccontavano gli episodi di violenza con una narrativa che molto spesso era la solita. Mi ha colpito il fatto che spesso nella narrativa della violenza si scelga di “abbellire” il carnefice, tramite l’uso dei testimoni che spesso alludono al lato più umano del carnefice raccontando magari che era un buon vicino o un bravo studente o un bravissimo lavoratore… la scelta di introdurre questo pezzo nel racconto di violenza finisce a volte generando l’impressione che la vera colpevole sia la vittima, che ha agito male, generando l’ira o il comportamento del carnefice. Questi sono pochi esempi, ne potrei citare tantissimi.

Quali credi possano essere i passi giusti da fare, non solo teoricamente ma anche pragmaticamente, per riuscire a camminare fuori, insieme ed in pace, da questo tortuoso sentiero?

I passi da fare sono sempre gli stessi, usare risorse e tutti i mezzi sociali, tecnologici, artistici, pedagogici ed educativi per trasformare la mentalità, solo così si può sradicare il fenomeno, attraverso la prevenzione.


Presentato all’ultimo Salone del Libro di Torino.
Proposto al Premio Strega Poesie 2024


[ SiteLink : YuleisyCruz.com ]


10 risposte a ““Di un’altra voce sarà la paura”: la “catarsi per uscire da tanto dolore.” Intervista a Yuleisy Cruz Lezcano”

  1. Bellissima intervista: domande favolose e risposte di grande spessore 🌹

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    1. Ciao Luisa, ti ringrazio per le tue belle parole, sono contento tu l’abbia trovata interessante 🙂🙏🏻🌹
      Buona serata!

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      1. Buona serata anche a te 🌹

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  2. Lo riporterò nel mio sito. Non so perché non mi permette il reblog. Comunque troppo importante per non farne un tam tam.

    Grazie

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    1. Ciao Eletta, condivido…troppo importante. Grazie 🙏🏻
      Per quanto riguarda il reblog non so risponderti. Anch’io non sono riuscito, ho fatto come altre volte copia/incolla del link anche per Whatsapp.
      Di nuovo, grazie!
      Buona serata.

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  3. Interessante e molto utile. Grazie. Sei bravo anche come intervistatore.

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    1. Sei troppo buona e troppo gentile con me, secondo me, però l’apprezzamento me lo prendo, e lo faccio con un pizzico d’orgoglio. Lo terrò stretto ☺️ Grazie! 🙏🏻

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