Una famiglia è una fune (..) Un cavo d’acciaio che ti tiene, qualunque cosa accada. Ti impedisce di perderti e dissolverti perché tu, in quell’aggancio, sei stato amato.
Con coraggio e bravura, Silvia Avallone scrive questo romanzo che sonda la colpa, esplorando i suoi abissi, la difficoltà di superarla senza negarla, né giustificarla, guardandola in faccia senza reticenze. Giustapponendola al riscatto, alla possibilità di trasformare l’energia negativa in un flusso positivo capace di risanare e incanalare verso il bene. Per intraprendere questa strada così difficoltosa è necessario riuscire ad assolvere se stessi, sia che il male lo si sia compiuto o subìto, perché prima che lo facciano gli altri, lo deve fare chi ne è protagonista.
Bruno è la voce narrante che ricostruisce, alternando presente e passato, i destini suo e di Emilia, due solitudini che si sono trovate, respinte e attratte in un alternarsi di sentimenti, di fughe e avvicinamenti. Perché mentre Bruno, man mano che i suoi sentimenti verso Emilia si fanno più intensi, si apre e ripercorre la tragedia che l’ha colpito, Emilia, proprio perché si è innamorata di Bruno, non trova la forza per esprimere il male che ha fatto, ha bisogno di arrivarci con i suoi tempi.
Attraverso questo incrocio di vite rotte che desiderano una riparazione, Avallone ci addita una possibilità, una su tante, forse troppe, di trovare quella tortuosa e insidiosa via verso l’emancipazione dal male.
Non siamo i nostri traumi. Il risultato di quello che abbiamo commesso o subìto. Il passato non coincide con il punto in cui ci troviamo adesso. Siamo altrove.
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