Simon James Terzo mi ha chiesto se volessi spendere qualche parola per Teresio Bianchessi, nostro collaboratore e scrittore, in occasione dell’uscita della sua raccolta di poesie Vivere come se.
Riflettevo sulla memoria, su suo zio Gaetano. Avevo anche io uno zio: Atilio Pascal era il suo nome. È nato vicino a Torino in un paesino di montagna così sperduto e alto che fa venire le vertigini cercando di raggiungerlo. Raccoglieva tutto e lo rivendeva. In città, la sua vecchia Ford T era talvolta come l’ultima cosa capace di ricordarci che la modernità degli anni ’60 era già la nuova fine di una nuova era. Gli emigranti in viaggio per l’America conservarono con loro solo la lingua: il piemontese, e lo sguardo pieno di voglia di conquistarsi quella nuova patria.
Quando leggo Teresio Bianchessi, anche qui su Masticadores Italia, a volte è come se ripercorressi la stessa strada di suo zio Gaetano, piena com’era di sacrifici, di purezza, di sogni e di amori, una strada molto simile a quella di Teresio ed anche alla mia.
Grazie Teressio, per essere un Masticadores. Complimenti e buona fortuna per questa bella pubblicazione.
J re crivello
Articolo che cito parlando di zio Gaetano: Memoria – Primo anno dell’ultima infanzia

PREFAZIONE
In un oggi di bisogni effimeri, di ingannevoli luminescenze, in un oggi di sconsacrazioni divenute endemiche, di meccaniche ed elettroniche senza freni, di militanze sterili, in un oggi di “io”, di “ho”, di “so”, è ristoratrice la pura grazia poetica di “Vivere come se”. Versi intimi, puri, eleganti nella forma ma monolitici e inamovibili nella loro sostanza. Versi vivi, le emozioni della carne e i dolori delle ossa, capaci di farsi, infine, spirituali e profondissime preghiere.
Oltre le nudità di musa, bellissima è la natura immortalata nei versi del capitolo “Terra e cielo”, una natura bizzosa, ora vanitosa ora afflitta, a tratti indolente, ora persino spietata. Intensamente scrutata, ammirata, rispettata e temuta, si fa metafora pungente del nostro essere. Non più solo la cornice alla fotografia del nostro esistere, ma essa stessa fotografia dell’esistere.
La forzata e inattesa prigionia pandemica trasforma ogni luogo in un non luogo, il tempo in un non tempo, statico, sospeso, in cui cose minute prendono pericolosamente peso. È qui, in quello che assomiglia ad un limbo labirintico dove i nodi sembrano venire drammaticamente al pettine, che s’addensano le evocative e toccanti lamentazioni poetiche di “Versi pandemici”.
Intrisi di malinconie dall’eco quasi blues, questi versi riecheggiano “Da lontano” i tonfi del lavoro nei campi, il brontolio di stomaci presi dai morsi della fame, poesie solcate nella terra dai rastrelli, incise sulle pietre, con la dignità e la forza di un atto di fede. Teresio scava la terra di un tempo passato in cerca di un tesoro che più di qualcuno vorrebbe sepolto, un tesoro impagabile dal potere salvifico: la memoria.
Cosa può lenire davvero i nostri dolori? Questi “Versi d’amore” sono la risposta. Ogni verso è il bene di un abbraccio che concede la grazia del sonno, è il desiderio di un bacio che invoglia il risveglio. Camminare fianco a fianco anche tra i rovi e le ortiche, non smettere mai di sorridersi, anche se succederà di pungersi. Con questi versi si fa l’amore, si fa l’atto sovversivo contro il freddo moderno del materiale e dell’ego.
Ruvida è la poetica essenza di questi versi sulla vita, i “Tremuli pensieri” hanno il fascino delle libere confessioni di un diario vestito di seta. “S’avverte il nascosto”, quindi “…muoviti leggero/ quel che deve accadere/ accadrà senza rispetto…” Il nostro “io”, quello che ci circonda e che ci aspetta, riflessioni tra l’ Hic et nunc e l’agognata Sapienza. Poesie che sono come specchi, non sai se ti leggono o sei tu che le leggi.
Potresti pensare in questo momento, caro lettore, di avere tra le mani un libro, ma credimi se ti dico che quello che hai tra le mani ora, tra non molto, non sarà più un libro, ma l’insondabile bellezza dell’anima di un uomo.
Simon James Terzo
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