«Dietro il muro di una chiesa, uhuh uhuh ahah ahah…», scandiscono in coro bambini e ragazzi accovacciati intorno al fuoco di bivacco. «…c’è la tomba di un bandito, uhuh uhuh ahah ahah…»
La cantilena si fa sempre più incalzante e cupa fino all’urlo finale, quell’ AAAHHH! che ne suggella il finale. I più piccoli sono spaventati a morte, i più grandi fanno finta di non esserlo, mentre i capi dichiarano conclusa la serata e spediscono i ragazzi a dormire nelle canadesi allineate lungo il ruscello. È l’ultima sera del campo estivo, domani l’accampamento sarà smantellato, smontate le tende, smontato il tendone della cambusa e il telo teso su quattro pali intorno alla latrina; fatti gli zaini, ammucchiata l’attrezzatura sul ciglio della strada, aspetteranno il pulmino che verrà a prendere i ragazzi per riaccompagnarli in città, e il furgone su cui sarà caricato tutto il materiale: infine anche gli ultimi lasceranno il luogo dell’accampamento, dove chiazze giallastre segnalano i punti in cui le tende hanno stazionato per una settimana, e torneranno a casa, stanchi, bisognosi di una doccia e di un letto su cui buttarsi a smaltire la fatica, a catalogare i momenti buoni e quelli critici, a fare progetti per le vacanze, quelle vere, senza l’impegno e la responsabilità dei piccoli. La nostalgia subentrerà più tardi: per i canti, le risate, le camminate in fila indiana sul crinale, per quel fuoco di bivacco del quale sono rimasti a sorvegliare gli ultimi bagliori. È l’ultima sera e fa freddo accanto al fuoco che sta per spegnersi, quindi si ammucchiano vicini l’uno all’altro sulle coperte che hanno steso sul terreno per non far passare l’umidità, si coprono le spalle sotto altre coperte e si passano di mano in mano una tazza smaltata colma di vin brulé. Qualcuno si alza con fatica e dichiara che va a dormire, via via intorno al fuoco morente rimangono in pochi, con le guance arrossate dalle fiamme e dal vino e i piedi gelati.
La ragazza grassoccia è seduta accanto al ragazzo scontroso, di cui è innamorata senza speranza. Lui, infatti, ama un’altra, una spilungona neanche tanto bella, che lo ha respinto e per la quale soffre intensamente. Sono amici, la ragazza grassoccia e il ragazzo scontroso, lui conosce i sentimenti di lei e lei quelli di lui per l’altra. Sotto la protezione di una vecchia e poco efficace coperta militare siedono fianco a fianco, cercando di contrastare il freddo col calore dei loro corpi. Poco più in là, anche lei avvolta in una coperta, una ragazza occhialuta chiacchiera a ruota libera, senza minimamente sentirsi di troppo e senza ipotizzare che tra quei due possa succedere qualcosa: lo sanno tutti, che lei ama lui e che lui ama l’altra, è un triangolo dei più classici, una situazione di stallo. Il ragazzo, però, con la scusa del freddo, ha circondato con un braccio le spalle della ragazza e l’ha stretta a sé, e intanto con l’altra mano ha preso a carezzarle i capelli e il viso. La ragazza grassoccia si crogiola per un attimo in quella tenerezza inaspettata, la mano dell’amico le percorre il profilo del naso, si posa sulle labbra, il suo viso si avvicina… sarebbe troppo bello, sarebbe impensabile se ora lui la baciasse. La ragazza vorrebbe lasciarsi andare, accada quel che accada, ma a un tratto si riscuote. Scosta la coperta, si alza in piedi: io vado a letto, proclama a voce alta, e si avvia verso la sua tenda, seguita dall’amica occhialuta che non ha capito nulla. Il ragazzo scontroso rimane solo, lo sguardo assorto a contemplare gli ultimi guizzi del fuoco, poi pesta sotto i piedi i pochi carboncelli che ardono ancora, si accerta che tutto sia spento, raccoglie le coperte e le ammucchia su una panca, infine se ne va a dormire anche lui.
La ragazza, dentro il sacco a pelo nella canadese blu, non riesce a dormire. È stata una stupida, ha abbassato la guardia, ha quasi permesso… e lui, che aveva in mente, quello stordito? Voleva baciarla? Baciare lei, quella che gli corre dietro da un anno senza speranza, che gli ha persino confidato i suoi sentimenti, ricevendo in cambio parole di affettuosa e rammaricata compassione (vorrei essere anch’io innamorato di te, sei una ragazza fantastica…), al posto dell’altra che non può baciare? E chi sarebbe lei, a quel punto, una sostituta? No, grazie. Non ci sta. Ha una sua dignità, lei. La mattina seguente, quando finalmente tutto è finito e ognuno torna a casa sua, prende una decisione irrevocabile: non frequenterà più quel gruppo, cambierà compagnia, non vedrà mai più lui.
Sono passati molti anni. La ragazza grassoccia è una donna ormai: si è sottoposta a una dieta drastica, ha perso parecchi chili, ha trovato un fidanzato, si è sposata, ha avuto dei figli, ha un lavoro. È una donna ragionevolmente soddisfatta. Vive in un’altra città e nei luoghi in cui ha trascorso l’adolescenza torna molto raramente. Questa volta ha approfittato di un week end per far visita a sua sorella e si è lasciata convincere da sua nipote, la figlia di sua sorella, a partecipare al vernissage di una mostra. Il pittore che espone è il compagno della nipote, la location è una bella sala affrescata del convento di San Domenico e ci saranno prosecco e tartine, quindi ha indossato un abito elegante, si è truccata, si è messa un paio di scarpe coi tacchi ed è andata. Tutte le volte che torna nella città in cui è nata e in cui ha passato l’infanzia e l’adolescenza, prima di trasferirsi altrove per frequentare l’università, prima di mettere radici e vivere la sua vita altrove, evita con cura i posti e le situazioni in cui immagina di poter incontrare gli amici di un tempo, non per altro, solo per evitare imbarazzi e convenevoli. Ma stavolta ha fatto un’eccezione e no, non ci ha visto giusto. Perché a un certo momento, in mezzo a una folla del tutto sconosciuta, li ha visti arrivare: lui, il ragazzo scontroso, al braccio della spilungona. Nonostante gli anni passati li riconosce immediatamente. Procedono lentamente, seri, compassati: i capelli castani e ribelli di lui si sono fatti grigi e molto diradati; lei li porta ancora sciolti sulle spalle, come allora, e tiene il viso rivolto verso l’alto, come se dovesse sfidare il mondo. Alla donna, ex ragazza grassottella, sembra che quei due siano lì per dirle, eccoci, siamo ancora insieme, alla faccia tua. Gli occhi grigi dell’ex ragazzo scontroso incrociano i suoi per un attimo e hanno un rapido movimento: l’ha riconosciuta. La donna vorrebbe non essere lì. Solo in quel momento, mentre i due si avvicinano, si accorge della stampella. La spilungona si aggrappa col braccio sinistro a quello del suo compagno e nella mano destra impugna una stampella. Nonostante i due puntelli cammina con difficoltà, un passetto dopo l’altro, e lui, impassibile, la asseconda. Prima di trovarsi faccia a faccia con loro e doverli salutare e addirittura scambiare due parole di convenienza, la donna fa un veloce dietro front ma invece di uscire dalla sala e andarsene si avvicina al buffet e chiede al cameriere un calice di prosecco. Che stupidaggine, sentirsi tanto a disagio, sono passati tanti di quegli anni, la sua storia col ragazzo scontroso, che del resto non è mai stata veramente una storia, è lontana nel tempo e nello spazio, solo un ricordo di gioventù cui guardare con tenerezza. Mentre rigira tra le mani il calice affusolato vede il suo antico amore avvicinarsi.
«Ciao», dice lui, come se non fossero trascorse molte decine di anni, ma solo pochi giorni dal loro ultimo incontro.
«Ciao», risponde lei. «E così, ce l’hai fatta», aggiunge.
«Ce l’ho fatta a far che?»
«A sposarti con lei.»
«Oh, sì, certo. Alla fine di quell’estate ci siamo riavvicinati… naturalmente abbiamo dovuto aspettare molti anni, io iniziavo allora l’università e lei era ancora alle superiori, ma sì, alla fine ce l’abbiamo fatta. E tu?»
«Sì, anch’io mi sono sposata. Io e mio marito abbiamo tre figli, e siamo nonni di due splendidi nipotini! Voi ne avete avuti?»
«No. All’inizio abbiamo provato, ma non sono venuti. Poi lei si è ammalata…»
«Ho visto. Sclerosi multipla?»
«Già.»
«Mi dispiace.»
«Senti… ti ricordi quell’ultima sera al campeggio…»
«Certo che me ne ricordo.»
«Mi sono sempre domandato… perché te ne andasti via all’improvviso?»
L’ex ragazza grassottella ha quasi un moto di stizza. Sono passati cinquant’anni da quella notte, i due adolescenti di un tempo sono ormai entrati nella terza età. Che t’importa, vorrebbe dirgli, ma la ferita, stuzzicata, prude ancora, così risponde, con una voce più acuta di quel che vorrebbe:
«Mi sono sentita usata… non ero a mio agio.»
«Avevo voglia di baciarti», dice lui.
Che sfrontato! Parlare così a una vecchia signora!
«Non volevo che mi baciassi pensando a lei. Non volevo essere un surrogato.»
È un attimo: la donna recupera il suo sangue freddo, posa il calice di prosecco, stringe il braccio dell’uomo:
«Mi ha fatto piacere rivederti», e veloce si avvia verso l’uscita.
Lui resta immobile, un braccio posato sul banco dei rinfreschi, la guarda allontanarsi, chissà come sarebbe stato, si domanda, poi scuote la testa e si dirige verso la moglie che lo aspetta seduta su una poltroncina.





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