By Nonsolocinema

Alto e fisicamente imponente, espressione accigliata, voce roca, dotato di grande carisma e di spiccata personalità, è ricordato per i suoi ruoli di uomo duro, freddo ed energico, sprezzante e solitario, spesso eroe egocentrico. Lo stile di recitazione aggressivo e il volto dai lineamenti duri, poco incline al sorriso, lo portarono a impersonare soprattutto individui solitari e orgogliosi, spesso calati in ruoli autoritari.

George Campbell Scott nasce a Wise, in Virginia, il 18 ottobre 1927. Figlio di un dirigente d’azienda, studia alla University of Missouri per poi arruolarsi nei marines per quattro anni. In seguito, dopo aver svolto attività di insegnante in quattro college, si orienta verso la professione artistica; inizia nel teatro mobile e dopo lunga gavetta in giro per gli USA e anche in Canada, arriva a Broadway nel 1957, e nel New York Shakespeare Festival debutta nel Riccardo III, per poi proseguire con successo in ottime interpretazioni di opere shakespeariane. L’anno successivo debutta anche in televisione: due carriere che, accanto a quella nel cinema, portò avanti per tutta la vita, ricevendo numerosi riconoscimenti. Nel cinema esordì nel western L’albero degli impiccati (1959), impersonando un predicatore fanatico.

Altrettanto negativi furono i personaggi del cinico avvocato di Anatomia di un omicidio (1959) di Otto Preminger, per cui nel 1960 ottenne una nomination come attore non protagonista, e dello spietato affarista de Lo spaccone (1961). Il successo ottenuto con questi due film gli permise di essere promosso a protagonista ne I cinque volti dell’assassino (1963) di John Huston, nella parte a lui poco adatta di un ex colonnello dell’Intelligence Service. Recitò poi in una serie di commedie, dove, alternando i ruoli secondari a quelli di protagonista, con grandi capacità istrioniche delineò figure ridicole o patetiche: tra esse spiccano quella del generale follemente anticomunista ne Il dottor Stranamore (1964) di Kubrick, e il truffatore da due soldi nella commedia Carta che vince, carta che perde (1967) di Irvin Kershner.

Ritornò al dramma con Patton, generale d’acciaio (1970) in cui, con un’interpretazione di notevole forza espressiva e ricca di sfumature, disegnò il controverso generale statunitense come un uomo lacerato dalle contraddizioni, arrogante ed egocentrico ma anche solitario e tormentato. Il ruolo gli valse l’Oscar come miglior attore, pubblicamente rifiutato in segno di protesta contro l’Academy Awards, da lui stesso definita ‘teatrino senza senso’. Frank McCarthy, il produttore del film, accettò il premio per conto di Scott alla cerimonia, ma lo restituì all’Academy il giorno dopo, rispettando i desideri di Scott.

Negli anni immediatamente successivi, sempre in ruoli da protagonista, alternò le commedie come Anche i dottori ce l’hanno (1971) di Arthur Hiller, che gli valse un’altra nomination all’Oscar, ai drammi come I nuovi centurioni (1972) di Richard Fleischer. Si cimentò anche con la regia, dirigendo e interpretando La notte del furore (1972), storia di un padre che, dopo la morte del figlio causata da un gas letale prodotto in un laboratorio segreto dell’esercito, si lancia in un’atroce vendetta, e The savage is loose (1974), ispirato alle avventure di Robinson Crusoe. La delusione per la tiepida accoglienza ricevuta lo spinse ad allontanarsi progressivamente dal cinema. Nel 1976, sotto un trucco pesantissimo, è protagonista per la televisione di una versione molto curatade La Bella e la Bestia, accanto all’ultima moglie, Trish van Devere.

Nei confronti dell’establishment di Hollywood ebbe sempre un atteggiamento costantemente polemico, e questo sicuramente non giovò alla sua carriera. Offrì poi ancora due straordinarie interpretazioni: nel genere comico con Il boxeur e la ballerina (1978) di Stanley Donen, in cui con ironia sottile e venata di malinconia fece la parodia di due filoni del vecchio cinema hollywoodiano, quello sulla boxe e quello musicale; nel genere drammatico con Hardcore (1979) di Paul Schrader, straziante vicenda di un americano qualunque che cerca di strappare la figlia al mondo della pornografia. Dagli anni ’80, si ammala di diabete e le sue apparizioni sul grande schermo iniziano a diradarsi e anche se continua ad apparire in film occasionali, il suo charme non esercita più sul pubblico la presa di un tempo; Hollywood, macchina affascinante e spietata, lo abbandona.

Fra le ultime interpretazioni, Taps – Squilli di rivolta (1981), Fenomeni paranormali incontrollabili (1984), e Malice – Il sospetto (1993).
Muore nella sua casa di Ventura, in California, a causa di un aneurisma all’aorta addominale, il 22 settembre 1999, a 71 anni.
Abile giocatore di scacchi, giocò e vinse diverse partite con Stanley Kubrick, durante le pause di lavorazione de Il dottor Stranamore.

Turbolenta la vita coniugale con 5 matrimoni e 4 divorzi, sempre con attrici: prima Carolyn Hughes, da cui ha avuto una figlia, Victoria, poi Patricia Reed, che gli dà due figli, Matthew e Devon; dopo il secondo divorzio sposa Colleen Dewhurst, da cui divorzierà e si risposerà dopo una tempestosa relazione con Ava Gardner: da lei ha avuto due figli, Alexander e Campbell, l’unico che ha seguito le orme paterne, diventando attore più che discreto. Infine sposa Trish Van Devere. Ha avuto un’altra figlia, Michelle, nata da una relazione con Karen Truesdell.

«Per recitare devi innanzi tutto essere te stesso, ma devi essere anche il personaggio che interpreti. In più, devi metterti nei panni dello spettatore e giudicare quello che fai. Ecco perché la maggior parte di noi o è già pazza o finisce per impazzire»

2 risposte a “George C. Scott, l’eroe tutto d’un pezzo by Raffa”

  1. Grazie e complimenti per la accurata descrizione dell’uomo dell’attore e anche della sua carriera.🐈‍⬛🌹❤️

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