Gorgo CPR è un libro inchiesta scritto da due giovani, Lorenzo Figoni, consulente dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e Luca Rondi, giornalista, e pubblicato da Altreconomia. Figoni e Rondi ci raccontano, sulla base di testimonianze e documenti, i Cpr in cui, nel nostro Paese, releghiamo gli immigrati cosiddetti “irregolari”, quelli che sbarcano sulle nostre coste, o che sono salvati da naufragio, o che non sono in possesso di permesso di soggiorno. Con diversi acronimi, i Cpr esistono da più di vent’anni e sono stati sostenuti da tutti i governi, di centrodestra o di centrosinistra che fossero. In Italia sono dieci, più quello famoso in Albania; il governo aveva in programma di costruirne uno in ogni regione ma al momento non l’ha fatto, anzi, ha dovuto chiuderne alcuni (che poi sono stati riaperti) a causa delle pessime condizioni di vita per coloro che eufemisticamente sono chiamati “ospiti” e delle periodiche rivolte che vi si verificavano e tuttora si verificano.
Non tutti coloro che arrivano irregolarmente in Italia sono destinati al Cpr, che è un luogo atto a detenere persone destinate al rimpatrio (anche se nella maggioranza dei casi questo poi non avviene) e per essere destinati al rimpatrio sono necessarie alcune condizioni: non essere considerati meritevoli dello status di rifugiato né destinatari della protezione speciale, provenire da Paesi definiti “sicuri” e con i quali esista un accordo per il rimpatrio. Di solito ci vuole del tempo per accertare queste condizioni, ma noi stiamo facendo di tutto per accelerare le procedure, non importa se le valutazioni saranno affrettate e superficiali, l’importante è levarsi di torno persone indesiderate. L’immigrato che non deve o non può essere rimpatriato viene trasferito in un centro di accoglienza, quello invece destinato al rimpatrio viene inviato al Cpr. I Centri per la permanenza e il rimpatrio non sono carceri, non sottostanno ai regolamenti e non garantiscono quel minimo di diritti alle persone trattenute che, almeno sulla carta, il carcere dovrebbe assicurare. Non sono gestiti dallo Stato ma da soggetti privati. Sono a tutti gli effetti dei nonluoghi, nascosti agli occhi del mondo: tuttavia ultimamente sono avvenuti alcuni episodi che hanno portato alla ribalta ciò che avviene là dentro. Così non potremo dire più “io non lo sapevo”.
Innanzitutto, per essere relegati in un Cpr non devi aver commesso un reato. Il reato sei tu: un immigrato irregolare, un clandestino. Uno che ha osato venire in Italia “senza averne diritto”. Questo comportamento sfrontato ti rende meritevole della privazione della libertà e della reclusione. Fino a quando? Fino a che non sarai rimpatriato, o fino a che, non potendoti rispedire da dove vieni, decorsi i termini del trattenimento (fino a 18 mesi) sarai buttato in mezzo a una strada. O fino a che non ti troveranno morto nella tua cella. Non sono confortevoli le celle del Cpr, i servizi igienici sono scadenti, il cibo non si capisce da dove venga (le vaschette preconfezionate non recano etichette identificative né data di scadenza), spesso ai reclusi non vengono nemmeno forniti capi di vestiario, per cui se ne stanno per mesi con indosso quello che avevano quando sono sbarcati, più o meno fortunosamente, in Italia. Non c’è nulla da fare tutto il giorno e non è strano che le persone trattenute diventino nervose. Perciò vengono imbottite di psicofarmaci. Poi, quando l’ospite è particolarmente agitato, o ha disobbedito e rotto i coglioni a qualche sorvegliante, viene portato nell’ospedaletto, che tutto è fuorché un ospedale: si tratta di celle piccolissime, con branda, sedia e tavolo inchiavardati al pavimento, dove la persona trattenuta viene messa in isolamento. Nessuno la visita, nessuno si preoccupa per lei: le viene portato il cibo due volte al giorno, le vengono portate le medicine, e se non apre lo sportellino vassoi e bicchierini vengono lasciati fuori dalla cella, fino alla prossima volta che qualcuno passerà, e se magari è già la seconda o terza volta che il detenuto non risponde e non apre, si va a vedere e lo si trova morto.
Questo succede in Italia, questo facciamo a dei poveri cristi che vengono da Paesi dove la vita è diventata per loro impossibile, a causa della guerra, della povertà, dei disastri climatici. Direttamente o indirettamente, nelle guerre siamo coinvolti, il disastro climatico è una nostra responsabilità comune, la povertà ha origine nello sfruttamento, ma a noi questo non interessa. I poveri del mondo sono la nostra faccia nascosta, the dark side of the moon. Non saremmo ricchi se loro non fossero poveri, non avremmo le batterie per i nostri cellulari se non si combattesse per i metalli rari che servono a costruirle, non ci sarebbe il disastro climatico se trent’anni fa avessimo impresso una svolta al nostro modo di produrre e consumare. Ma i poveri non li vogliamo vedere, i profughi sono solo dei clandestini, i naufraghi meglio se muoiono in mare, e se arrivano sul nostro suolo, be’, non ne avevano il diritto, e li releghiamo nelle tendopoli, nei “centri di accoglienza”, nei Cpr.





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