Si tormenta una spessa crosta di sangue sul ginocchio, cercando di sollevarla con l’unghia dell’indice destro. Quella deve opporre molta resistenza, dal momento che un lembo è staccato dalla pelle, mentre tutto il resto si tiene ancora ben saldo.
Accovacciata su un gradino della lunga scalinata, la bambina non si dà per vinta. Non riesco a vederne il viso, coperto dai capelli sottili arruffati. Immagino abbia le labbra serrate che tradiscono concentrazione e l’espressione accigliata di chi non ha intenzione di mollare. Mi dà la sensazione di essersi svegliata da poco. Ha indosso una canotta consunta e un pantaloncino troppo grande per il suo corpo esile.
«Bruna!» sento chiamare a voce alta dall’altro lato della tenda antimosche. Le strisce di plastica colorate si smuovono con una folata di brezza; piccoli campanelli eolici tintinnano affacciandosi e io riesco a sentire il profumo di caffè provenire dalla cucina scura.
Un ultimo tentativo energico e la crosta si stacca: la vedo saltare controluce sulle maioliche. Soddisfatta, la bambina solleva la testa e scosta i capelli dal viso, portandoli indietro con entrambe le mani. Sul ginocchio una vistosa chiazza di pelle biancastra e rossa comincia a sanguinare. Bruna abbassa di nuovo la testa per analizzare la situazione. Resta un istante immobile, pensierosa. Poi, raccoglie la saliva sulle labbra, tanta saliva bianca e schiumosa. Un attimo prima che questa scivoli giù, la trasferisce sulle dita e da lì al ginocchio sanguinante. La bambina, infine, mostra un’aria soddisfatta. Improvvisamente, solleva gli occhi neri e grandi e li ficca nei miei. Mi ha sorpreso a spiarla, mezza camuffata dietro a un ramo di limone.
L’obiettivo della mia fotocamera, nel frattempo, ha catturato la creatura, la sua tenacia, l’esplorazione, la curiosità, la spontaneità. Lo ha fatto dieci, venti, trenta volte.
Bruna si alza di scatto e corre su per le scale. Percepisco l’attrito dei piedini sudati sulla ceramica liscia. Sua madre si sporge con metà corpo oltre le tende. Osserva tutto intorno, guardinga, con la moka a mezz’aria. Copre la testa della bambina con la mano grande, poi la spinge contro il suo bacino, facendovi affondare la piccola faccia.
Un ultimo scatto rubato prima di ritirarmi, furtiva, nella vegetazione.
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[ Immagine in evidenza : Enza Graziano, creata con IA. Particolare. ]





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