Di notte sogno i cervi, come corpi, poi
sogno allevamenti di vacche.
I loro occhi mi tormentano.
Sono gli occhi degli animali domestici.
Allora spazzo il pavimento e lo lavo.
Scorgo il sorgere del sole in un gioco di riflessi fra vetri.
Afferro la tazzina di caffè.
Sento rumori spaventosi di macelli,
sirene, tonfi, squarci.
Il cielo aperto come un’arancia.
Indosso una gonna che non fa primavera
e soprattutto non fa rima.
Rimane il guinzaglio col quale non tengo
i giorni, i bambini affrettati, le piastrelle lucide.
Quella è mia moglie, dicono di me. Ma sbagliano:
io sono sposata con una parola che non ricordo.
Come quando di notte sogno i cervi e
il risveglio è un gesto sprecato.
[ BlogLink : Strepitio ]
[ Immagine in evidenza : Miriam Cahn, Unklar. Olio su tela, 1996 ]





Lascia un commento