Di Gianluca Mantoani

Il quartetto d’archi Jerusalem è una formazione di musicisti israeliani, tre dei quali nati in Unione Sovietica (Ucraina e Bielorussia) ed emigrati in Israele nel 1991; ormai da trent’anni percorrono da protagonisti la scena internazionale della musica classica cameristica. Il teatro del Conservatorio mi piace molto, di per sé, anche vuoto eventualmente, perchè ha soffitti alti, luci morbide, stucchi neoclassici e poltrone un po’ datate, ma comode. Il programma della serata era corposo, anche un po’ pesante per spettatori non abituati a questo tipo di ascolto, come siamo noi; ma certamente intenso e drammatico. Comprendeva (entro nel dettaglio a beneficio di chi ne sa più di me) il Quartetto in Do maggiore K 465 di Mozart, il Quartetto op. 133 di Šostakóvič e – con la partecipazione della clarinettista Sharon Kam, il Quintetto per clarinetto e archi op. 115 di Brahms.

Sono state quasi due ore di vissuto musicale puro e vivo; che al suono degli strumenti, pulito e preciso, mescolava in sala il respiro degli spettatori, la mimica facciale compassata del violoncellista, le torsioni della schiena e del collo, i movimenti nervosi nelle gambe dei violinisti, l’ondeggiare ipnotico della clarinettista, il luccichio delle scarpe di vernice, l’impercettibile raggiungersi delle loro anime strumentali in un punto preciso, al centro di quello spazio.

Finito il concerto, dopo la lunga serie di applausi e un generoso bis, uscendo dal teatro, da un capannello vicino, ho intercettato questa frase: “se avessi saputo che erano musicisti Israeliani non sarei venuta. Per quanto bravi, bisogna pur fare qualcosa per sostenere la causa dei palestinesi di Gaza… l’unico modo per fare pressione su Israele è boicottare ogni manifestazione della sua presenza all’estero.”

L’affermazione mi ha colpito, soprattutto, per la distanza siderale da quanto avevamo appena vissuto. Intendiamoci, sono sempre stato favorevole alle campagne di “boicottaggio”, intese come forma di pressione politica civile e nonviolenta e sono anche assolutamente convinto che la politica di Israele nei confronti dei palestinesi e in particolare quella nei confronti della striscia di Gaza, da quando è partita offensiva militare in risposta alle azioni terroristiche di Hamas del 7 ottobre 2023, venga condotta da Israele attraverso ripetuti crimini contro l’umanità, secondo un progetto finalizzato in definitiva alla pulizia etnica, alla deportazione forzata ed alla eliminazione fisica dei cittadini palestinesi dal territorio.

Ma boicottare l’esperienza musicale appena vissuta sarebbe effettivamente un sostegno alla causa del popolo palestinese? In particolare, la musica classica europea dei secoli XVIII, XIX e XX, fruita secondo il rituale formale e codificato dei concerti a teatro nei quali non esiste alcuna comunicazione fra artisti e pubblico al di fuori del suono, degli inchini e degli applausi, è davvero un terreno nel quale questo tipo di azione politica ha significato? Cosa sappiamo noi, ad esempio, di quel che pensano i quattro strumentisti sulla politica e le campagne militari del loro governo e sulla questione della difficile convivenza fra israeliani e palestinesi? Possiamo presumere che siano d’accordo con le posizioni del loro primo ministro, più di quanto chiunque potrebbe presumere che io, in quanto italiano, sono allineato con le opinioni della attuale presidente del Consiglio dei Ministri italiana?

E’ vero, il Ministero della Cultura israeliano porta avanti da anni una politica molto attiva per “allineare” la voce degli intellettuali e degli artisti israeliani alla visione del governo nazionale, sia in patria che all’estero. Numerose però sono le proteste degli artisti “non allineati” che si son visti direttamente minacciati di perdere finanziamenti pubblici per il teatro, il cinema o altri progetti a causa di tematiche sgradite al governo. Ed è una tendenza di lungo periodo.

Nel 2015 ad esempio Norman Issa, un attore israeliano di cittadinanza, palestinese, di lingua araba e religione cristiano maronita, si rifiutò di partecipare con la sua compagnia ad un evento teatrale organizzato dal Ministero della Cultura in Cisgiordania, praticamente a ridosso della Green Line del 1949. A causa di questo rifiuto l’allora Ministro della Cultura Miri Regev, minacciò di sospendere i finanziamenti pubblici al Teatro Elmina di Jaffa che Norman Issa dirigeva assieme alla drammaturga israeliana Gidona Raz, sua molgie. I coniugi lanciarono allora una petizione contro il Ministero della Cultura che venne sottoscritta da oltre 1500 fra artisti e intellettuali, tutti cittadini israeliani.

Più di recente, nel 2022, fu direttamente il ministro delle finanze, Avigdor Liberman, a dare disposizione di tagliare i finanziamenti pubblici al teatro Al Saraya di Jaffa, un teatro multiculturale arabo-israeliano, colpevole di avere programmato la proiezione del film di produzione giordana “Lyd” che dipingeva l’esercito israeliano in modo molto crudo e critico. La proiezione venne di fatto cancellata a causa delle minacce. Dunque molti intellettuali israeliani sono a loro volta vittime della guerra e di quel che si porta dietro.

D’altra parte, anche sull’efficacia concreta delle azioni di boicottaggio ci sono opinioni discordanti. La campagna del comitato palestinese BDS (Boycott Disinvestment Sanctions) è iniziata più di venti anni fa e non si può dire che nel frattempo la violenza nel conflitto israelo-palestinese sia diminuita, anzi. Inoltre l’economia israeliana ha trovato negli anni strategie e contromisure per mitigare gli effetti del boicottaggio e ci sono molte testimonianze che, in diversi casi, i primi a soffrire dei boicottaggi siano i lavoratori palestinesi che operano nelle aziende prese di mira.

Al tempo stesso è opportuno sottolineare che alcune delle aziende più coinvolte nel sostenere lo sforzo militare israeliano contro i palestinesi sono in realtà imprese multinazionali che hanno un ruolo importante anche nella nostra vita quotidiana. Ad esempio la Siemens è un Top contractor di Israele per l’impiantistica negli insediamenti dei territori occupati; Carrefour supporta l’esercito israeliano,  la Hewlett Packard Inc (HP) fornisce servizi informatici al governo israeliano, McDonalds e Burger King regalano pasti ai soldati, Coca Cola e Pepsi gestiscono i loro impianti di produzione nel West Bank e regalano forniture all’esercito israeliano. Perfino  Fox, Disney e Paramount effettuano generose donazioni a diverse organizzazioni che fanno parte della macchina militare israeliana.

Considerata dunque la complessità del quadro e considerata l’importanza che la cultura e il dialogo devono sempre avere per affrontare e ridurre i conflitti, prima di rifiutarmi di ascoltare un violinista, un cittadino israeliano, nato in Ucraina nel ‘900, che suona una musica composta da un musicista austriaco del ‘700, con un violino costruito in Italia nel ‘600; prima di “boicottarlo” senza sapere nulla di lui, magari sostituendolo con un film guardato in streaming su una piattaforma che effettua corpose donazioni all’esercito che vorrei contrastare, sento il dovere di compiere uno sforzo ulteriore di immaginazione, per provare a comprendere se, davvero, questo genere di boicottaggio “alla cieca” danneggia l’esercito di Israele o piuttosto non chiude me in una gabbia di silenzio e incomprensione della realtà. Una gabbia che fa comodo a qualunque esercito. Allora, piuttosto, meglio boicottare il silenzio. Magari con la musica di un quartetto d’archi.


[ Immagine in evidenza : foto del Jerusalem string quartet da: https://www.salzburgerfestspiele.at/en/photos/jerusalem-quartet ]

2 risposte a “Immaginare / boicottare il silenzio”

  1. […] da Gianluca Mantoani il febbraio 22, 2025febbraio 22, 2025 Immaginare / boicottare il silenzio Anche su: […]

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  2. Lo musica come tutta l’arte e aggiungo anche lo sport, avvicinano i popoli e sono intrinsecamente promotori di pace.
    Ecco perché è profondamente sbagliato impedirne lo svolgimento a chiunque.
    Se pensiamo alle censure subite dagli artisti e atleti russi in questi anni c’è da vergognarsi.
    Anche perché se avessero usato lo stesso metro di giudizio in modo imparziale, nessun atleta o artista americano o israeliano avrebbe dovuto avere spazio.
    Buona giornata

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