Padre,
solo poche settimane fa la mia vita era un’altra vita. Non sapevo come affrontare il mio lavoro precario. Non sapevo dire di no, mi preoccupava l’idea di non piacere alla gente. Avevo la nausea tutti i giorni. Passavo ore a trovare un metodo per risparmiare minuti preziosi.

Tutto è cambiato, Padre.

Sono invecchiata di dieci anni almeno. Ho conquistato quella sicurezza data dalla noncuranza delle sciocchezze che si raggiunge solo dopo anni di lavoro o di matrimonio, un paio di figli, qualche grosso fallimento. Il senso della gravità delle cose non è più deformato dal mio egocentrismo. Non me ne importa più.

Non ho più fretta. La mia mente è sgombra. La mia identità è vincolata agli altri solo in parte. Ci sono migliaia di lavori al mondo. Ma uno solo di voi,
Padre.

Mi ritrovo a pensare che non è più possibile tornare indietro, a prima che tutto cambiasse. Le vostre spalle, simbolo della mia infanzia felice, guardare la sigla di Colpo Grosso a dorso di cavallo, voi coi gomiti appoggiati al tavolo, piegato in avanti, io nel West. Sono cresciuta ma le vostre spalle mi sono sempre sembrate in grado di sostenermi per un’altra cavalcata, un’altra ancora, l’ultima, poi andiamo a letto.
E invece state tutto in un mio abbraccio.
Rimpicciolito dal vostro stesso dolore.
Abbandonato al destino.
L’uomo più dispiaciuto che io abbia mai visto.

Voi non siete mai stato uno che si scusa,
Padre,
non ho ricordi di vostre richieste di perdono.

Io non ci voglio vivere in un mondo in cui voi siete spiacente.

Un leone. Insopportabile sciorinatore di aneddoti non richiesti con un unico protagonista: voi.
Ecco da chi ho ereditato la mia narrativa.
Quando vi scordate di tutto e tornate ai vostri modi bruschi e beffardi, io vi riconosco. Non ho mai tollerato l’uomo che siete sempre stato, e lo rimpiango.

Mi spiazzate, 

con questo sguardo basso. 


Il mio cuore esplode.


Esplode, sì.


Esplode.


[ BlogLink : Scrittura e Arte Tessile ]

Una replica a “Francesca Di Rosa – Sottovoce”

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