Il mare non è mai stato così lontano, ma quando ripenso a mia nonna, lo vedo sempre più vicino. Non è una questione di geografia: la distanza è tutta nei miei occhi, che ora sono più vecchi di quanto avrei mai voluto ammettere. Il mare, lo sappiamo, è come una mappa in costante cambiamento, un filo che tesse legami tra passato e futuro, tra chi siamo stati e chi saremo. Lo sa bene chi cresce in un paese che non è mai davvero rimasto lo stesso, ma che, per qualche motivo, continua a mantenere la stessa faccia.

Mia nonna Pasqualina era la Lollobrigida del paese e crescendo e invecchiando non era bella nel modo in cui lo diventavano le star del cinema: lei era stupenda, ma aveva dovuto imparare a essere prima madre che donna, senza mai rinunciare a un velo di rossetto rosso che riportasse indietro, grazie allo specchio della memoria, la giovane che avrebbe conquistato i cuori di principi e sceicchi se avesse avuto la fortuna della Loren o di Virna Lisi. Pasqualina era bella come una statua antica, quella che trovi in un museo e pensi che non possa essere mai davvero umana, ma in qualche modo è riuscita a incarnare il tempo stesso. Era una bellezza che sapeva di sale e di vento, di giornate estive che ti si piantano addosso come una promessa silenziosa.

Quando ero bambina, la vedevo sempre così: immobile sulla riva del mare, con il sole che le accarezzava i capelli, i suoi occhi verdi che guardavano lontano come se sapesse qualcosa che nessuno di noi avrebbe mai capito. Io, in quegli anni, ero piccola e correvo da lei, le gridavo “Ti prego, vieni nonna”, e lei non si muoveva. Restava là, bellissima come una divinità silenziosa che non aveva bisogno di rispondere. Io la chiamavo e lei continuava a non muoversi. Forse la sua risposta era proprio quella, il suo stare al sole, nella sua solitudine, come un segreto che non doveva essere rivelato.

Nonna non era una semplice nonna. Era l’asse attorno a cui tutto si muoveva, anche quando sembrava stesse solo seduta a guardare la televisione. Mio padre, che per me è sempre stato un uomo imponente, si fermava davanti a lei, a volte senza parlare, come se fosse un bambino che non riusciva a capire come fare a ricevere il permesso di esistere. E io, che guardavo tutto senza capire fino in fondo, pensavo che nonna avesse un potere misterioso, qualcosa che sfidava ogni logica, ogni racconto che avrei potuto sentire.

Ora, sono qui, seduta su un treno che mi riporta a casa. Ho trent’anni e sono incinta. Tra qualche mese, anch’io diventerò madre, e non so nemmeno come affrontare questa nuova identità che mi spaventa tanto. Ho sempre pensato che avrei avuto il tempo per diventare qualcosa di diverso, ma sono stata tradita dalla mia pigrizia: la vita non aspetta. Il tempo non è mai stato un amico, ma un ticchettio costante che ti dice che il momento è arrivato e devi fare quel passo. Così, a poco a poco, mi avvicino al luogo dove nonna non c’è più, ma dove la sua voce continua a riecheggiare, quella voce che mi ha sempre fatto sentire al sicuro.

Quando sono arrivata a casa, mio padre era seduto in cucina, a guardare fuori dalla finestra. Non so se stava pensando a qualcosa di specifico o se semplicemente era perso nei suoi ricordi. La sua espressione era cambiata, anche se non sapevo come spiegare questa trasformazione. Sembrava più fragile, ma il suo sguardo era lo stesso di sempre: sospeso tra il desiderio di rimanere bambino e l’incombenza di essere adulto.

Mio padre ha sempre avuto un rapporto particolare con mia nonna. Non l’ho mai capito completamente, ma c’era una sorta di simbiosi tra di loro, un legame che non riusciva a dissolversi nemmeno con la morte. Quando Pasqualina è venuta a mancare, mio padre è cambiato. Non in modo radicale, ma come se avesse perso qualcosa che non poteva più ricostruire. E adesso, mentre mi guardava con un sorriso che non sapevo decifrare, sembrava quasi che non avesse mai davvero smesso di essere il suo bambino tutto teso in una ricerca eterna di una madre che non c’era più.

“Mamma mi manca,” ha detto, senza che fosse necessario aggiungere altro. Nonna non c’era più, ma restava comunque lì, nel modo in cui le cose non dette continuano a farsi sentire come presenze invisibili.

Io, che stavo per diventare madre a mia volta, non riuscivo a inquadrare il mio ruolo. Com’era vedere diventare madre tua figlia senza avere più la propria mamma accanto? Quella domanda mi martellava, e ogni volta che pensavo di avere una risposta, una nuova domanda si apriva, come una scatola misteriosa che non riuscivo a chiudere.

Il pomeriggio passava lentamente, e io camminavo sulla spiaggia, come una bambina che cercava la sua nonna. Ma questa volta non c’era nessuna voce che mi chiamava indietro, nessuna figura immobile sulla riva a guardare il mare con occhi che dicevano tutto senza parlare. Mi mancava Pasqualina, ma non era solo la sua presenza fisica a mancare. Mi mancava la sua capacità di stare al mondo senza sembrare mai sopraffatta, di non aver paura del tempo che passava, di come i segni sul suo volto sembrassero appartenere a una forza più grande di tutti noi.

Alla fine, tornai a casa, e mi trovai di nuovo con mio padre. Stavamo entrambi in silenzio, ma in qualche modo eravamo più vicini. Ciò che nonna aveva fatto, senza mai dirlo, era stato creare uno spazio per il futuro, uno spazio in cui, nonostante tutto, potessimo trovare il nostro posto. E ora che stavo per diventare madre, sapevo che quella forza incarnata da Pasqualina non era andata persa. Sarebbe passata attraverso di me. E questo pensiero mi dava una calma che non avevo mai conosciuto.

Mio padre non smise mai di guardare fuori dalla finestra. Era come se stesse aspettando che Pasqualina tornasse, ma nel frattempo stava imparando a vestire i panni del nonno, e per quanto fosse difficile, non aveva altra scelta. Come me, anche lui stava imparando a farsi spazio in un mondo che sembrava inarrestabile.

La vita si sarebbe evoluta, il futuro sarebbe arrivato. Ma qualcosa di eterno, qualcosa che Pasqualina aveva seminato in tutti noi, continuava a brillare, come la luce che attraversa l’orizzonte sul mare prima che il sole tramonti.


[ SiteLink : Volevo fare l’astronauta ]

2 risposte a “Aurelienne – Mia nonna era il mare”

  1. Grazie di aver proposto questo racconto, quasi il
    passaggio di nonna Pasqualina tra le generazioni che seguono, la
    bellezza e la forza di questa donna alla fine passano aprendo un varco tra un padre e una figlia e mi viene da pensare che arriverà anche a chi dovrà nascere🐈‍⬛🌷

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    1. Grazie a te per la tua lettura attenta ed empatica. È venuto da pensare anche a me quello che hai pensato. Custodire, conservare, tramandare, si fanno sempre più essenziali con lo scorgere i tempi in cui ci troviamo e ancor di più che da questi ne deriveranno. 🙏🏻🌷

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