Se c’è una cosa che Marino Magliani sa fare veramente bene è raccontare i luoghi. I luoghi della sua Liguria, di salite, rovi, squarci di paesaggio marino che si aprono all’improvviso; i luoghi dell’Olanda, dove vive, orizzontali, piatti, circondati dall’acqua. I luoghi di altri posti dove è stato o ha vissuto, Spagna, Corsica, Argentina. E le persone: le persone che abitano in quei luoghi. In questo Romanzo olandese, uscito nei mesi scorsi per Scritturapura, racconta da par suo l’Olanda, e siccome il Romanzo olandese è in realtà una trilogia, racconta tre diversi momenti, tre diverse prospettive, sempre sottintendendo l’improbabile confronto con la sua Liguria. La prima delle tre parti in cui Romanzo si divide è intitolata La talpa: qui Magliani riveste il ruolo di uno scrittore cui è stata commissionata una guida della città di Amsterdam in bicicletta. Dal quartiere periferico di Zeewijk, dove vive, viene dunque ad Amsterdam col traghetto, portando con sé una vecchia bici, e insieme a Fagel, il suo traduttore, in verità il suo bisbetico mentore, percorre le vie concentriche e i canali alla ricerca di dettagli, di particolari da annotare nella sua guida. Ma l’implicito e continuo paragone tra la città olandese e il suo paesello ligure lo fuorvia, inoltre Fagel gli fa conoscere una donna che si mette in mente di sedurlo e intanto conduce i due in giro nel sottosuolo della città, attraverso la rete fognaria. Tra fango e animali annidati nel buio, indizi e segnali da decifrare, Magliani, Fagel e Welmoet, con l’assistenza del cane Bolero, arrancano nel fango, strisciano in condotti strettissimi, affiorano in canali morti. Per approfondire questa insolita conoscenza della città, che ovviamente non gli sarà utile per scrivere la famosa guida per appassionati ciclisti, Magliani resta ad Amsterdam per giorni dormendo all’addiaccio su un tetto, protetto a malapena da un foglio incatramato.
Nel secondo episodio, Le vetrate di Rembrandt, Magliani rimane a Zeewijk, ha un altro amico a tenergli bordone, Piet, al quale regolarmente rendiconta i suoi giri nel quartiere. Ha di particolare, quel quartiere, il fatto che le case siano munite di grandi finestre a vetrata, non riparate da tende o tapparelle o sporti: pare che gli olandesi non abbiano problemi a mostrare ai passanti l’interno delle loro case e la vita che vi si svolge. Così Magliani passa e ripassa davanti alle case, nelle vie che hanno nomi di costellazioni, e butta uno sguardo su salotti e cucine, vede famiglie che fanno colazione, anziani che guardano la tv sul divano, vede una bella donna con la quale intesse un’amicizia attraverso la vetrata della finestra. Si salutano, si parlano tramite il labiale, lui scrive dei messaggi su fogli che poi accosta dall’esterno al vetro, in modo che lei possa leggere: la sera confida i suoi approcci e le sue speranze all’amico Piet, che accoglie le sue confidenze con un certo scetticismo, e non ha torto, perché un bel giorno la donna smette di prestarsi a quello scambio silenzioso da fuori a dentro, diventa scostante, fino a che non sparisce del tutto e la vetrata rimane tristemente deserta.
L’ultima parte del Romanzo olandese, Biografia di un paesaggio anfibio, ci propone un Magliani infreddolito che percorre ostinatamente e instancabilmente la rete dei canali che dalla periferia di Amsterdam portano verso il mare aperto: è qui il nocciolo del mistero dei Paesi Bassi, nati sottraendo terra al mare e proteggendola con dighe, canali, chiuse. Giorno dopo giorno Marino si spinge un po’ più in là, alla ricerca dell’ennesima bella donna, una con la quale ha scambiato qualche parola un giorno ma che sembra non avere nessun interesse a intrecciare amicizia con lui, tant’è vero che sparisce a sua volta; scopre l’esistenza di un pesce insolito per quel territorio, dallo strano nome di anableps anableps (confesso di averlo cercato su Wikipedia perché non ero sicura che esistesse realmente), capace di sopravvivere fuori dall’acqua e dotato di due paia di occhi.
Così, con questi racconti un po’ verosimili e un po’ fantastici, in parte onirici, Marino Magliani conferma la sua natura di flâneur, il suo temperamento girovago, il suo sentirsi diviso tra più mondi, la sua straordinaria capacità di osservazione e la qualità raffinata, elegante della sua prosa.





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