Sempre danza la candela, senza che venga la sera, canticchiava l’uomo vestito di nero, mentre cercava un posto dove sedersi nello scuro sotterraneo in cui era chiuso da tanto, troppo tempo. “La candela è l’unica che non mi tradisce qui sotto”, pensava. “Non ho più contezza del tempo, ho strappato le batterie a tutti gli orologi. Il tempo lo calcolo nella mia mente. Conto i minuti, le ore, i giorni che passano. Poi, cancello con la matita la cella del calendario corrispondente al giorno andato via”. La candela è ferma nel luogo buio, la fiamma traballa, danza, si sposta, come se percepisse ancora l’anima del vento, che lì sotto, per forza di cose, non poteva esserci. Ma la candela sembrava aver conservato il ricordo del tempo andato, del vento che soffiava libero tra gli alberi e spegneva, con impeto, il flusso delle sue simili. La barba incolta gli ricopriva il volto, rendendolo selvaggio e scuro quel tanto che bastava per mimetizzarlo con l’ambiente cupo circostante. Anche i capelli avevano perso la vecchia lucentezza, diventando, ora, un ammasso di peli lunghi e sporchi, raccolti in ciocche aggrumate in fiotti di ripugnante marciume, dai quali saliva un odore acre di sebo e sudore.
L’atmosfera cupa del sotterraneo trasmetteva un assordante rumore di vuoto e di ricordi: lo schiamazzo dei bambini intenti a giocare tra lo stridio delle rondini ed il frusciare del vento. La luce era costante, bianca e sterile, generata da pannelli a basso consumo collegati a batterie al litio. Niente albe, niente tramonti. Quella in cui viveva, non era una casa, e non era nemmeno una prigione. Era solo un luogo in cui il tempo si era fermato, congelato in attimi, in frazioni che facevano pensare ad una via di mezzo tra la vita e la morte, come se fosse un purgatorio scavato nella roccia.

L’uomo giaceva seminudo, seduto in terra, col capo reclinato in avanti, nell’atteggiamento di chi è sovrastato dai pensieri, coperto da un plaid colorato poggiato sulle spalle, e lo sguardo perso nel vuoto. In giro, poggiati da qualche parte, c’erano una tv ed una radio, ma avevano smesso di trasmettere da un pezzo, non perché fossero rotte, ma per via della sospensione di tutte le trasmissioni. L’aria arrivava ad intermittenza da una ventola nascosta agli occhi, filtrata per tre volte e satura di ozono. “Anche il silenzio fa rumore, qui sotto”, mormorava, “ti entra nel sangue, circola liberamente nelle vene, entrando dritto nel luogo che meno ti aspetti, le orecchie”. Ogni tanto gli sembrava di udire suoni, e voci lontane: il rumore del mare che si infrange sugli scogli, i gabbiani che garriscono volteggiando sopra le falesie alte della Scozia, i cani che corrono nell’erba appena tagliata, e il vociare delle madri che chiamano i figli per avvisarli per la cena. “Sento un rumore di sottofondo, un suono antico che mi attraversa il cervello, da parte a parte, che mi strappa le energie, e mi rende inerme, così come, realmente, ora sono. Sono un uomo solo, fuori dal tempo, fuori dal mondo, e non so nemmeno se sono vivo o morto. Quante volte mi sono soffermato a riflettere su questo pensiero: come posso capire di essere morto? E se ora fossi già morto senza rendermene conto? E se non fossi in grado di rendermene conto, resterei per sempre prigioniero di questo luogo angusto e scuro? È questa la morte? E se, e se, e se …”, pensava, a tratti parlando con un filo di voce.
Il rifugio lo aveva costruito lui stesso, e lo aveva fatto un po’ per volta già a partire dal 2064, quando le tensioni internazionali si erano acuite a tal punto da far temere un’imminente guerra nucleare.
Nulla da fare, erano passati millenni da quando l’umanità si era insediata sulla terra, ma restava il solito atavico problema della scarsità di tolleranza. Ne aveva attraversate di tempeste, l’umanità, tutte colorate dalle stesse parole intrise di solidarietà e sostegno e di attesa di tempi migliori, ma la realtà era stata sempre diversa e dura.


Giuseppe TecceL’uomo che sopravvisse all’atomicaUscita prevista entro la fine del 2025


[ SiteLink : GiuseppeTecce.com ]

[ Immagine in evidenza : Jean-Louis Bessède ]

2 risposte a ““L’uomo che sopravvisse all’atomica” – L’incipit [ versione estesa ] della nuova opera inedita di Giuseppe Tecce”

  1. Commento a botta calda, seguendo la prima impressione: fin dai primi accenni in situazione, l’impatto del classico filmone, pronto a mantenere con il fiato sospeso gli spettatori….soltanto, la presa di fiato è tanto grande quanto la brevità del brano non sceglie di risolvere…peccato, lascia una scia di curiosità ulteriore…

    Silvia G

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    1. Ciao Silvia, grazie per il commento. Come a te, anche ad altri lettori, è rimasta una scia di curiosità riguardo al testo di Giuseppe Tecce. Abbiamo pensato di aggiungere una piccola ulteriore parte. Spero sia di tuo gradimento e che risolva un po’, ma non totalmente, quel senso di curiosità vitale e quindi indispensabile. Buona “estesa” lettura.

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