Ho attraversato foreste di uomini. E di grattacieli. E di castelli. E di ponti senza attraversamenti. Ho la tasche piene di frenesia. E l’agenda del telefono con nomi che non so pronunciare. Ho attraversato due città e tre paesi. Ho foto ovunque. Parole d’altri prese in prestito da lingue sconosciute. Ho brindisi scoccati in quel locale all’angolo di una strada ventosa. Con una scala in pietra, a picco sul sottosuolo di questa città antica che fu un regno. Dove ogni cosa sembra sapere dove andare. Anche io mi lascio ogni tanto trascinare, dal vento, dagli odori, dagli sconosciuti. Non tutti sorridono. Non tutti capiscono. Ma il cibo è buono. Arriviamo sempre tardi la sera, quando le cucine stanno già per chiudere, ma Paul lo sa e ci aspetta. Anche se il locale è vuoto lui ci fa accomodare e ci serve tutti i piatti che gli chiediamo, con birre fredde e chiacchiere in italiano. Credo ci tratti come dei criceti che lo incuriosiscono. Ma il cibo è davvero buono. Diverso da quello a cui siamo abituati.
Al primo piano di un antico palazzo su cui pende fiera la bandiera del Paese, da una finestra appena socchiusa giunge un angelico coro di voci. Cantano brani gregoriani. Con due birre e tanta stanchezza insisto con un uomo affinché mi lasci raggiungere quel piano, per sedermi e ascoltare le prove del coro cittadino.
E quel locale punk con la porta scura, piena di adesivi. Lei, mi dice, vieni. Vieni, non immagini cosa ho trovato. E io la raggiungo. Spingo la porta, anche qui le pareti sono in pietra, è un posto un po’ gotico, che si snoda su piani differenti, in cui servono l’assenzio, c’è anche un calciobalilla e mi pare così grottesco. Risalgo. Risaliamo, verso un piccolo spazio esterno. Un giardino di pietra e murales. Con giovani, troppo giovani, e adulti che fanno i giovani. E io non lo so che ci facciamo lì. Mentre balliamo musica techno e parliamo di arte, teatro e anche un po’ di filosofia. Parliamo delle rivolte studentesche e di quando eravamo dall’altra parte della barricata del tempo.
E penso che è bello dimenticarsi, anche se ci si sente in colpa mentre qualche paese più in là c’è chi muore. Chi non vive. Chi viene strappato via.
La luna è alta. Il vento soffia in questa città in cui l’estate non è la stessa della nostra città. Mentre passeggio, da sola. Indossando tutta la lentezza di cui dispone il mio corpo esausto. Sulla riva del fiume si riflettono le luci di grattacieli, e quelle di battelli che pian piano si svuotano. La luna perfetta e rotonda, ripenso al fatto che Marta qualche giorno fa mi ha chiamata. Prendo il telefono e la richiamo.
Ciao Marta come va dall’altra parte della corrente?
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