Nel respiro dell’ambra, intrisa di pianto,
si specchia Varsavia, vestale ferita:
tra vetri rotti e il silenzio del canto,
conserva nel cuore la cenere e la vita.
Ogni muro sussurra un nome spezzato,
ogni pietra è un cranio crepa del dolore;
tra i resti del ghetto, un cielo strappato
si aggrappa ai mattoni con mani d’amore.
C’erano carretti, e volpi affamate
trascinavano corpi alla gola del suolo,
e il vento, insensato, le urla rubate
le cuciva nel fango, nel tempo, nel volo.
In ogni finestra occhi che implorano,
in ogni portone croci dimenticate,
e i giorni d’inverno che ancora odorano
di sguardo mancante, di madri strappate.
Ma ecco l’ambra, lacrima fossile,
che brilla nei mercati tra mani operose,
è la storia che grida, dolce e docile,
nei monili intagliati, nei sogni, nelle spose.
Tu, città dai seni tagliati e rifatti,
hai inciso la guerra nel volto dell’aria,
eppure, dal ventre dei giorni disfatti,
urli di vita e rinascita volontaria.
Varsavia, nel tuo nome sento il seme,
il grano che cresce da sangue rappreso,
terra fertile dopo il gemito estremo,
e nella tua croce, il fiore sospeso.
Varsavia, regina rifatta,
s’innalza vestita di tinte celesti,
ogni casa un pennello, ogni via una sonata,
tracciata da mani che furono ceneri e gesti.
Scorrono i giorni come archi di vento,
tra piazze che suonano d’alba e rimpianto,
il passato risplende nel quieto cemento
e canta sommesso in un battito lento.
Yuleisy Cruz Lezcano; 19 agosto 2025; verso Danzica.



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