Al vostro posto non ci so stare è il titolo di un libriccino (piccolo formato, 142 pagine) scritto da Fabrizio Bartelloni e pubblicato dalla casa editrice Pacini. Ha un sottotitolo interessante: Dei delitti e delle pene secondo Fabrizio De André. Fabrizio Bartelloni è un avvocato e un appassionato di cantautori italiani: ha scritto su molti di essi, ma per De André nutre una passione e un interesse particolare, a causa dei temi di cui canta l’autore genovese. Un brano dopo l’altro, partendo dalla Ballata del Miché, Bartelloni esamina tutti i testi in cui il cantautore genovese si esprime a proposito di crimini, criminali, matti e sbandati, tribunali, giustizia, carcere. Il pensiero di Fabrizio si snoda coerente da una canzone all’altra: del resto lo diceva lui che aveva poche idee, però fisse, simile in questo alla manzoniana Donna Prassede, ma per fortuna più aperto e compassionevole di lei. Fabrizio De André era un anarchico, esattamente un anarchico individualista: non credeva nello Stato, non credeva nel Potere, credeva nelle persone, nei loro destini individuali, provava compassione per le vite irregolari e storte, marginali. Miché, che si impicca in cella perché “non poteva restare vent’anni in prigione lontano da te”. L’assassino, che al vecchio pescatore chiede pane e vino; Bocca di Rosa che fa l’amore per passione, la puttana di via del Campo, il vecchio professore della Città vecchia: tutte persone fallaci, alcune colpevoli di delitti, ma “pur sempre figli, vittime di questo mondo”. Nella giustizia dei tribunali De André non credeva, impietoso è il suo ritratto del giudice, “arbitro in terra del bene e del male”, lui che “ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo”. E fu talmente coerente con le sue idee che non si costituì parte civile al processo contro i carcerieri che avevano tenuto per quattro mesi segregati lui e Dori Ghezzi, ritenendo che fossero degli sciagurati costretti al crimine dalla loro povertà, mentre lo fece nei confronti dei mandanti, che per aver collaborato con la giustizia ebbero pene molto inferiori.
Dalle prostitute ai transgender, dagli assassini ai rom, il popolo emarginato per eccellenza, a tutte le esistenze fallate, a tutti i soggetti fragili, come del resto lui stesso si autodefiniva, a tutti gli scarti del sistema De André ha rivolto uno sguardo affettuoso: “ho cercato di voler bene a tutti”, ha scritto nei suoi appunti, rammaricandosi di non esserci riuscito.





Lascia un commento