Le due donne procedevano, una dietro l’altra, sulla stretta passerella di legno che attraversava la spiaggia fin quasi in riva al mare. Il cielo era sereno, senza una nuvola, spirava una lieve brezza e piccole onde si succedevano sulla battigia con un dolce sciacquio. Arrivate all’altezza delle loro tende si inoltrarono sulla sabbia, lanciando strilli acuti per il calore che bruciava i loro piedi. Erano tende quadrate, bianche, sorrette da pali di legno verniciato, alla cui ombra erano piazzati due lettini, un tavolo, alcune sedie da regista: il tutto dello stesso bianco abbagliante del tendone. La distanza tra le due postazioni era di pochi metri, tuttavia le donne, per fare due chiacchiere, si piazzarono entrambe sotto quella di Jane. I bambini erano già lì, accompagnati dalle baby sitter, e giocavano con le palette e i secchielli. La piccola Lucy dormiva all’ombra nella sua sdraietta, Paul faceva la spola dalla riva alla tenda, portando acqua per bagnare la sabbia e costruire castelli, mentre Johnny era impegnatissimo a scavare fossati e ergere bastioni.

«Affittare una tenda in questo stabilimento costa una fortuna», disse Francis, «ma è talmente confortevole, e il mare qui è così bello, limpido e calmo, che spendo volentieri qualcosa di più per godermi le vacanze in famiglia!»

«Ah, non c’è dubbio! Questa costa è meravigliosa, il clima eccezionale, le strutture di accoglienza sono di un’eleganza e di un comfort straordinari. Sono soldi ben spesi, quelli che investiamo in queste vacanze, mia cara. Va tutto in salute e benessere, per noi e per i nostri piccoli!»

«A proposito, cara, dove saranno i nostri mariti?»

«Ah, immagino che siano al lounge bar… sai che non amano cuocersi sotto il sole come noi, e quel locale è talmente piacevole e raffinato!»

«Non staranno bevendo alcolici, spero, è appena mezzogiorno…»

«Proprio l’ora dell’aperitivo! Sai che facciamo? Dico due parole alle ragazze e li raggiungiamo. Bambini, state con la tata, e fate da bravi, mi raccomando, la mamma torna subito. Ciaooo!»

 All’inizio era sembrata una follia. Il Presidente aveva lanciato l’idea e diffuso rendering che illustravano il modo in cui la regione si sarebbe presentata, una volta realizzato il progetto, ma molti l’avevano considerata un’idea bislacca, un’utopia, mentre i soliti criticoni l’avevano bollata come uno scherzo di pessimo gusto. Ma più il tempo passava più il progetto si delineava con sempre maggiore precisione, più le persone iniziavano a capirne l’assoluta bontà e la fattibilità. Prendere un territorio devastato da guerra e carestia, abitato da una popolazione cenciosa, incivile, demolirne le misere casupole e i palazzi fatiscenti, spianare tutto e poi, una volta fatta tabula rasa, ricostruire. Valorizzare le potenzialità della regione, il clima mite, la presenza del mare, trasformare il deserto in un giardino, al posto dei tuguri di un tempo costruire ville, palazzi, hotel. C’era voluto qualche anno, ma alla fine la lungimiranza del Presidente aveva avuto ragione di tutte le difficoltà. Dove prima c’era stato uno dei luoghi più desolati e inospitali della terra, ora sorgeva una magnifica riviera sulla quale la crema della società internazionale amava trascorrere vacanze da sogno. Gli antichi abitanti del posto erano emigrati, grazie alla generosità del Presidente avevano avuto una cospicua sommetta che aveva consentito loro di rifarsi una vita altrove: purtroppo qualcuno era stato sacrificato nel corso della realizzazione del progetto, ma si sa, tutti i grandi piani vengono alimentati dalla fatica e dal sangue di schiavi e operai. Non erano state forse numerose le perdite umane durante la costruzione delle Piramidi? Eppure nessuno più le rimpiangeva quando ammirava quelle ardite costruzioni. Infine, per coloro che non erano voluti partire, erano state create delle riserve, dei campi recintati, protetti alla vista da alti muri, dove gli ultimi indigeni vivevano tranquilli al riparo da sguardi indiscreti. Ogni cosa, ogni persona era al suo posto, e tutti ne traevano vantaggio, grazie alla lungimiranza del Presidente.

Dopo aver consumato un cocktail nella penombra del lounge bar, tranquillamente adagiate su comodi divani, cullate dalla musica house in sottofondo, Jane e Francis tornarono alla tenda in riva al mare, a dare ordini alle baby sitter per il pranzo dei bambini.

«Mamma, hai visto che bel castello abbiamo costruito?», chiese Johnny.

«Bellissimo davvero! Con fossato, bastioni e torri, una vera opera di ingegneria! E queste decorazioni che avete inserito nelle pareti e posato sulla sommità delle torri, dove le avete trovate?»

«Scavando un po’ nella sabbia se ne trovano tantissimi! Sono dei pezzetti d’osso e d’avorio, così bianchi e lisci, ci sono sembrati l’ideale per abbellire il castello!»

Paul aprì la manina, dove brillavano, perfettamente sbiancati e lisciati dalla sabbia, minuscoli ossicini e certi pezzetti d’avorio… strano davvero… se non fosse stato impossibile, si sarebbe detto che fossero denti.

5 risposte a “Paradise Beach Racconto di Marisa Salabelle”

  1. […] Paradise Beach Racconto di Marisa Salabelle […]

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  2. Decisamente iinquietante nella sua asetticita straniante. Dalla descrizione iniziale mi ero quasi convinto che si fosse in una clinica, una di quelle poste in riva al mare.

    Molto aapprezzato, grazie

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  3. Grazie, sembra un racconto assurdo ma alla fine è quasi verosimile…

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  4. Vorrei non pensarci ma è impossibile. Impossibile.

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