Il respiro di Venere

Venere prese forma dalle mani di Milo.

Non era pietra,

era pelle che si lasciava inventare.

Le dita tra i capelli,

il collo che ardeva di calore promesso,

la discesa lenta,

costola dopo costola,

fino all’ombelico.

Lì mi trovò.

E non mi vestì.

Mi spogliò del silenzio,

mi rivestì di respiro.

Io, nata da un blocco muto,

sentii fremere il ventre,

il sangue farsi strada dove prima

c’era solo marmo.

Le sue mani erano radici,

il mio corpo la terra.

Mi lasciò viva,

nuda di tempo,

col desiderio inciso nella pelle.

E allora non fui più statua.

Fui donna.

Fui carne che lo guardava tornare,

ogni volta,

a scolpirmi ancora.

Mi piegai sotto il suo tocco,

come argilla calda che geme,

mi aprii al suo respiro

che incendiava vene e silenzi.

Il marmo divenne pelle,

la pelle fu febbre,

e in quella febbre

nacque la mia voce.

Lo chiamai senza nome,

con il tremito delle cosce,

con la curva che implora di essere seguita,

con la bocca che finalmente sapeva chiedere.

E lui non era più scultore,

era amante,

era fiamma che entrava,

che mi rompeva,

che mi faceva nascere di nuovo.

E nel culmine,

quando la pietra cedette del tutto,

io non fui più opera,

non fui più immagine.

Fui vita che bruciava,

fino a consumarlo.


The breath of Venus

Venus took form from Milo’s hands.

It was not stone,

it was skin that allowed itself to be invented.

The fingers in her hair,

the neck burning with promised warmth,

the slow descent,

rib after rib,

down to the navel.

There he found me.

And he did not dress me.

He stripped me of silence,

clothed me in breath.

I, born from a silent block,

felt the belly quiver,

the blood making its way where before

there was only marble.

His hands were roots,

my body the earth.

He left me alive,

naked with time,

with desire etched into my skin.

And then I was no longer a statue.

I was woman.

I was flesh watching him return,

each time,

To sculpt me again.

I bent under his touch,

like hot clay groaning,

I opened myself to his breath

That ignited veins and silences.

Marble became skin,

skin became fever,

and in that fever

my voice was born.

I called him namelessly,

with the trembling of thighs,

with the curve begging to be followed,

with the mouth that finally knew how to ask.

And he was no longer sculptor,

he was lover,

he was flame that entered,

that was breaking me,

that made me born again.

And in the climax,

when the stone gave way completely,

I was no longer work,

I was no longer image.

I was life that burned,

until it was consumed.


[ SiteLink : Tutto il contrario di tutto ]

3 risposte a “Luisa Carducci – Il respiro di Venere / The breath of Venus”

  1. La poesia è bella, fluida e tratta di un tema inconsueto. Mi piace parecchio.

    Aggiungo soltanto che la famosa Venere di Milo del Louvre e detta “di Milo” perché scoperta nell’isola di Milo.

    Gradirei conoscere l’autore dell’opera soprastante che rappresenta una Venere mutila immersa in una sorta di fango/gesso biancastro, grazie

    Piace a 1 persona

    1. Buongiorno Mario, purtroppo nonostante le diverse ricerche effettuate non sono riuscito a risalire all’autore né a qualque particolare indicazione. Proverò altro, nel caso ti farò sapere. Ho deciso di metterla comunque perchè, oltre a trovarla molto bella esteticamente, l’ho trovata perfettamente “scolpita” nelle affascinanti e potenti parole di Luisa.

      Grazie per il commento, Mario, buona giornata.

      "Mi piace"

  2. Complimenti per la trasformazione di Venere, che attraverso i tuoi versi ha attraversato il tempo e lo spazio.

    Piace a 1 persona

Scrivi una risposta a Vincenza63 Cancella risposta

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