Mexican Gothic di Silvia Moreno García, Mondadori 2021, traduzione di Giovanna Scocchera, pp. 348
Mexican Gothic di Silvia Moreno García è un romanzo che rielabora in chiave contemporanea e latinoamericana i topoi del gotico tradizionale. Ambientato nel Messico degli anni ’50, il libro trasporta il lettore in una villa isolata e in decadenza — High Place — che non è solo un semplice scenario, ma un organismo vivente, impregnato di muffe e funghi che invadono corpi e coscienze.
La protagonista, Noemí Taboada, rompe con l’immagine classica della fanciulla gotica passiva: è indipendente, colta e determinata, capace di affrontare con intelligenza e ironia sia i pericoli della casa sia la rete di segreti e manipolazioni della famiglia Doyle. Il romanzo mantiene il tropo della donna intrappolata in un ambiente ostile, ma lo ribalta: Noemí combatte, indaga, e diventa agente del cambiamento. In questo senso, il romanzo assume una forte connotazione femminista, perché ribalta lo schema patriarcale tipico del genere: non c’è un eroe maschile che salva la donna, ma una protagonista che agisce in prima persona.
Un altro elemento di rilievo è il legame tra orrore e colonialismo. La famiglia Doyle, di origine inglese, rappresenta la sopravvivenza del potere coloniale in terra messicana: la loro ossessione per la purezza del sangue e per il mantenimento del controllo passa attraverso rituali inquietanti e attraverso la stessa “gloom” fungina, metafora di un passato che si ostina a contaminare il presente. Il gotico, qui, non è solo atmosfera di decadenza e mistero, ma strumento per riflettere sulla storia sociale e politica del Messico.
Rispetto ai classici come Cime Tempestose o Rebecca, Mexican Gothic mantiene elementi cardine — la casa come luogo di oppressione, i segreti di famiglia, l’aria malata che corrode tanto i muri quanto le persone — ma introduce una dimensione nuova: l’orrore biologico. La muffa e il micelio che collegano tra loro i Doyle trasformano il gotico psicologico e soprannaturale in un eco-horror, dove la natura diventa terreno di controllo e oppressione.
Nel complesso, il romanzo di Moreno-Garcia affascina per la sua capacità di fondere la tradizione gotica con questioni contemporanee: il ruolo delle donne, l’eredità coloniale, la contaminazione tra natura e cultura. È un’opera che sa inquietare e insieme far riflettere, dimostrando che il gotico è un genere vivo, capace di parlare ancora oggi con forza.
Entriamo nella trama (potete saltare questa parte se non volete anticipazioni…)
Una lettera allarmante arriva da sua cugina Catalina, che ha appena sposato un inglese, Virgil Doyle, e vive in una grande e fatiscente magione sperduta tra le montagne, chiamata High Place. Catalina sostiene di essere in grave pericolo, sente voci, si sente controllata, teme per la sua salute sia fisica che mentale. Spinta dalla preoccupazione, ma anche da un desiderio di autonomia (tra le condizioni che suo padre pone per permetterle di continuare gli studi), Noemí decide di recarsi a High Place. Lì scopre una casa isolata in rovina, segreti di famiglia, decadenza fisica e morale, un’aria di malattia, funghi che proliferano, sogni inquietanti, rituali antichi, una sorta di “fungo/muffa” che sembra vivo e legato alle coscienze dei membri della famiglia Doyle.
Man mano che avanza l’indagine, Noemí affronta diverse peripezie: lotta con la manipolazione, scopre il tentativo della famiglia di preservare la linea di sangue (e l’identità del potere interno) attraverso mezzi inquietanti; c’è una resa dei conti con la casa (“High Place”), con la presenza fungina (“the gloom”) e col patriarcato rappresentato da Howard Doyle, Florence, Virgil. Alla fine si arriva a un confronto diretto in cui Noemí, con l’aiuto di Catalina e Francis (un altro membro dei Doyle), distrugge in parte la “gloom”, incendia e fugge dalla casa.
Temi principali:
Gothic e Decadenza
La casa High Place è quasi un personaggio: isolata, fatiscente, piena di muffa, umidità, muri che trasudano, ambienti gotici (corridoi bui, stanze nascoste, segreti sotterranei). L’atmosfera è carica di malessere, la tensione viene costruita su dettagli sensoriali, sogni, visioni, misteri.
Colonialismo, Eredità Storica, Razza e Superiorità
La famiglia Doyle è di origine inglese, con una storia di sfruttamento minerario in Messico, ed è intrisa di ideologie che riguardano la purezza del sangue, la superiorità razziale, legami con la superiorità culturale coloniale. Noemí, che è messicana, viene spesso percepita o descritta come “altro” rispetto ai Doyle.
Femminismo e Resistenza
Noemí non è la classica dama in pericolo passiva: è curiosa, istruita o desiderosa di esserlo, capace di cervello e coraggio, di sfidare le aspettative sociali per le donne all’epoca. Catalina, pur nella sua fragilità, ha anch’essa delle sue risorse e alla fine attiva un ruolo decisivo.
Natura, Ecologia, Mutazione
Il fungo / muffa che invade la casa non è solo uno sfondo o decorazione horror: diventa motivo centrale, simbolo di contaminazione, di degenerazione, ma anche di interconnessione. C’è una sorta di orrore “biologico” che si intreccia con l’ideologia (coloniale, famiglia patriarcale) che ha cercato di controllare sangue, discendenza, purezza.
Psicologia, follia e limiti della sanità mentale
Le visioni, i sogni, le allucinazioni, il dubbio su cosa sia reale e cosa no (in parte alimentato dall’ambiente malsano della casa) sono strumenti usati per creare tensione ma anche per esplorare la perdita di controllo, la paura, il confine tra “normale” e “insanità”.
Stile e atmosfera:
- Moreno García miscela elementi classici del gotico con ambientazione latino-americana. L’ambientazione del Messico anni ’50 è importante: non è solo sfondo, ma contribuisce al contrasto tra modernità/aspirazioni e retaggi coloniali.
- Ruolo dell’estetica, tensione narrativa crescente: il ritmo è “slow burn” — l’inizio è atmosferico, c’è una costruzione lenta del senso di minaccia, poi verso la fine gli eventi si intensificano.
- Uso di simbologia fortissima: il fungo (“gloom”), le stanze segrete, la casa che dà sulle montagne, la luce e il buio, le ombre, la decadenza, perfino il sangue e il corpo come luoghi di orrore.
Mexican Gothic piacerà a chi ha apprezzato romanzi come Cime Tempestose, Jane Eyre, Rebecca o Il castello di Otranto; qui ritroverà l’atmosfera di case decadenti, segreti di famiglia, oppressione psicologica… ma con un tocco innovativo. Piacerà anche a chi cerca un orrore non fatto di mostri tradizionali ma di elementi biologici, corporei e naturali (funghi, muffe, contaminazioni); a chi ama storie con protagoniste forti e indipendenti; agli appassionati di narrativa postcoloniale, a chi cerca atmosfere in cui la tensione sale gradualmente.
Bio:
Silvia Moreno-Garcia (1981), messicana di origine e canadese d’adozione, è autrice di molti romanzi acclamati dalla critica, tra cui Gli dei di giada e ombra, Mexican Gothic (Locus Award e British Fantasy Award), Velvet Was the Night, The Daughter of Doctor Moreau e Silver Nitrate. Ha inoltre curato diverse antologie, tra cui She Walks in Shadows/Cthulhu’s Daughters(World Fantasy Award). È direttrice editoriale della Innsmouth Free Press e editorialista del “Washington Post”. Laureata in Studi scientifici e tecnologici all’Università della British Columbia, vive a Vancouver.





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