Questa è la seconda parte del racconto sulla mia vita, hai già letto la prima? Se ancora non l’hai fatto puoi farlo qui: Agostina Segatori, l’italiana di Parigi
Mi chiamano l’Italienne e ora, a 45 anni gestisco il Café Tambourin.
Il mio locale è così caratteristico perché ci sono i tavoli e gli sgabelli realizzati con i tamburelli. È un café per artisti, dove potete trovare scrittori in cerca di ispirazione, modelle compiacenti e pittori squattrinati. Quando sono riuscita ad acquistare questo locale, Paul Gauguin mi ha aiutato ad arredarlo. Qui mi sento una regina, per questo indosso spesso cappello nero con le piume rosse. Mi dà un tono distinto.
Dal mio tavolino, dove tengo tutto sotto controllo, mi diverto ad osservare i clienti. Scommetto con me stessa se avranno fortuna o no. M’illudo che nessuno sappia cosa mi passa per la testa mentre li osservo.
Ci sono anche personaggi quasi famosi che frequentano il mio café, quelli il cui nome ogni tanto appare sui giornali, più per le polemiche che per le vendite dei quadri però.
Qualche sera si vedono allo stesso tavolo il piccolo aristocratico, il conte Henri de Toulouse-Lautrec, che ha lo studio a pochi passi da qui, in Rue Lapic. Viene a prendere una boccata d’aria fresca, diversa da quella che si respira nelle notti sudaticce e morbose dei bordelli o da quella musicale, mondana e ruffiana del Moulin Rouge. A fianco c’è il pittore Paul Signac che ha macchie di colore nelle mani ed è spesso ubriaco; o Georges Seurat, un bel tipo che ha l’aspetto gracile e nostalgico. Questi due erano sul giornale proprio qualche tempo fa, per lo scandalo del loro nuovo modo di dipingere, tutto a puntini. I loro quadri sembrano un mosaico di macchiette. Se ci vai vicino, a meno di un palmo di naso, vedrai quanto sono piccole. Eppure solo uomini con una ferrea volontà possono stare lì a dipingere trattini che solo se ti allontani ti accorgi che si ricompongono in un paesaggio brillante.

Ah, la pittura non è più stata la stessa dopo le mostre degli impressionisti! Non so se questo sia un bene o un male.
Non mancano i tipi strani nel mio café. Con il suo vocione si fa sempre notare Paul Gauguin. Grande e grosso, affascinante, abbronzato, vestito in modo stravagante, con un berretto di astrakan e un cappottone blu. Parla sempre dei suoi viaggi in paradisi tropicali, in isole dove ha quattro o cinque donne per notte, dove la vita è semplice, e i colori sono più colori. E’ un cafè degli artisti, e non poteva esser altrimenti, con me come proprietaria.

Una sera è arrivato anche un olandese, rosso di barba e capelli, con gambe corte, le spalle larghissime, il busto sproporzionalmente lungo. Quando entrano insieme, lui e il nano aristocratico, è un quasi numero da circo.

L’olandese si chiama Vincent Van Gogh e non è famoso come gli altri. Il Conte Lautrec gli ha subito tratteggiato un ritratto a pastello. E’ uno dalla parlantina facile, l’Olandese, parla sempre di colori, di luoghi lontani, di stampe giapponesi. Una volta ha catechizzato tutti con il suo desiderio di creare una comunità di soli uomini, di artisti, sul modello dei pittori monaci giapponesi. Ma non in Giappone, nel Sud della Francia. E io, che me ne intendo di pittura, non capisco proprio cos’hanno di speciale queste stampe giapponesi.
Allo stesso tavolo discutono se la torre Eiffel sarà finita per il 1889, della politica corrotta dei Salon, della fortuna di dipingere e di essere liberi, se si debbano usare i colori puri e come stenderli sulla tela. Insomma, per farla breve… una sera mi siedo anch’io al loro tavolo, e va a finire che quando ho chiuso il locale, io e Vincent siamo saliti nel mio appartamento al piano di sopra. È un buon diavolo, in fondo, burbero e con quegli occhi stralunati, un po’ pazzo, come molti artisti.
Sono una donna di mondo, e ho imparato a fare sempre quello che voglio. Compreso appendere alle pareti i quadri di qualche pittore che mi piace. Deve piacermi come dipinge, ma devo piacergli anch’io. Questi sono affari. Nella vita tutto è un baratto. Io l’ho imparato e così mi sono comprata un intero locale. Da sola.
Siamo stati amanti. Giusto il tempo di farmi un ritratto, mentre fumo al mio tavolino, con la giubba a quattro bottoni e con il mio cappellino preferito. Sarà pure bravo a dipingere girasoli e iris, ma con i ritratti non ci sa fare… mi ha disegnato un occhio diverso dall’altro. Non sono mica un mostro!!!
Certo, non sono bella come in gioventù, lo so… Le gravidanze inattese, la vita ai margini del mondo, e la consolazione della bottiglia non mi hanno risparmiata, ma ho vissuto senza paura, senza freni, senza confini.
Mentre stavamo insieme, mi sono accorta di esser incinta. Non sapevo se il bambino fosse suo, e comunque ho imparato a non farmi influenzare da questi contrattempi. Come altri prima di lui, anche questo bastardo non ha visto la luce. Quando gliel’ho detto, mi ha fatto una scenata, perché pensava che lo volessi incastrare, che lo volessi sposare e così lui avrebbe dovuto abbandonare la pittura.
Lui che sta per diventare famoso, se lo sente, è solo questione di tempo, tutto il mondo vedrà quanto è potente la sua pittura e lui non può accasarsi, deve solo dipingere. Solo dipingere. Mi ha frainteso. Io penso a solo divertirmi, e finché con uno ci sto bene, ci sto, e poi… aria.
Così, com’è iniziata questa storia stralunata è anche finita. Mi sono invaghita di un garzone di bottega, Michel, tutto muscoli e più giovane di me: potete darmi torto? Una sera si sono presi a pugni, sono volati i bicchieri e due tavoli e poi ho sbattuto fuori Vincent Van Gogh dalla mia vita.
Dalla strada, con il naso sanguinante, continuava a gridare che non gli interessava nulla di me, rivoleva solo i suoi dipinti che erano appesi ancora alle pareti del mio locale. Perché non li meritavo. Presto ho girato pagina.
Nessun rimpianto, nessun rimorso. Non posso che essere fiera della mia vita. Molti ritratti mi raccontano, alcuni bellissimi di gioventù, altri più anonimi, ma tutti purtroppo sembrano esser stati dimenticati.
E allora brindo a quello più strampalato, il più famoso, quello a cui è affidata la mia fama: brindo alla Agostina Segatori nel Café du Tambourin dipinto da Vincent Van Gogh!

Agostina Segatori (Ancona, 9 ottobre 1841 – Parigi, 3 aprile 1910)
[ SiteLink : Valentina Casarotto – Storie d’arte ]





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