La nuotatrice notturna, di Adrián N. Bravi, Nutrimenti 2025, pp. 192

Raccontare una storia non è difficile, scegliere come raccontarla è il punto.

La nuotatrice notturna è un libro che procede come un moto d’acqua lento, carsico, insinuandosi nella memoria mentre racconta ciò che resta dopo una perdita.

L’ultimo romanzo di Adrián N. Bravi comincia con un annuncio asciutto, quasi crudele, capace di lasciare il lettore sospeso come chi riceve una notizia troppo grande per essere contenuta: con una telefonata inaspettata, spiazzante, capace di incrinare la superficie ferma della quotidianità, a Jacopo Bordignola viene annunciata la morte di suo padre, Pietro, annegato in un fiume in Portogallo, dove – gli dicono – andava a nuotare ogni sera.
La notizia, così improvvisa, non riporta solo un nome dal passato: riaccende una domanda rimasta sospesa per un’intera vita. Chi era davvero Pietro? E perché era scomparso così presto dalla vita di suo figlio?

È da questa epifania negativa, da questo vuoto improvviso, che si apre La nuotatrice notturna, romanzo liquido e segreto, dove la verità affiora come un’ombra sotto la corrente.

Pietro e Mina si erano conosciuti da giovanissimi, un amore fragile e istintivo da cui era nato Jacopo. Ma Pietro aveva sempre portato con sé una crepa, un’inquietudine senza nome. Un giorno è partito, lasciando al figlio una sola eredità tangibile: un’armonica, memoria di un tratto familiare che si tramandava da generazioni.
Per Jacopo, bambino allora e adulto oggi, l’assenza del padre è rimasta un punto cieco, un nodo mai sciolto. Il romanzo segue il suo viaggio verso Rio Salgueiro, la cittadina portoghese in cui Pietro ha trascorso gli ultimi anni, per scoprire cosa si cela dietro quella morte misteriosa e dietro la vita parallela che l’uomo aveva scelto. Qui Jacopo troverà la rivelazione più grande.

Jacopo per anni ha vissuto con la madre Mina in una dimensione sospesa, nutrita più da omissioni che da spiegazioni. Pietro è partito, curioso di conoscere il mondo, desideroso di allontanarsi da una realtà che gli andava troppo stretta; una fuga da un ruolo che non sentiva proprio, forse una fuga da se stesso. Da quel momento la sua figura è rimasta per Jacopo un’ombra intermittente: cartoline da luoghi remoti che sporadicamente gli vengono recapitate senza spiegare nulla, racconti confusi, un’eredità di silenzi.

La notizia della morte, misteriosa e quasi irreale, riattiva in Jacopo un bisogno antico: comprendere chi fosse davvero quel padre irraggiungibile, e comprendere, attraverso di lui, una parte essenziale della propria identità.

Jacopo è il centro emotivo del romanzo: è un quarantenne goffo, impacciato, con una fisicità marcata, con un carattere quasi teneramente ingenuo. Ha un rapporto conflittuale con la madre che, dopo la sparizione del suo compagno, si è rifatta una vita con un altro dal quale ha avuto due figlie gemelle, che Jacopo mal sopporta. Lavora in un cimitero, dove svolge compiti vari come giardiniere, addetto alla sepoltura. La sua routine è di solitudine dolceamara: ha una gatta anziana, vive nella vecchia casa dei nonni defunti, ha una relazione con Rosalia, una donna che condivide con lui goffaggine, fragilità e affetto. Questi aspetti del carattere e il suo prendersi cura degli altri (vivi o morti) lo rendono molto umano.
Il grande vuoto nella sua vita è l’assenza di Pietro, suo padre, che lo ha lasciato da bambino. Questo abbandono ha segnato profondamente Jacopo: la sua infanzia è segnata da domande mai risolte, da un senso di mancanza che lui elabora parlando con i morti nel cimitero.
Attraverso il viaggio di Jacopo a Rio Salgueiro (in Portogallo), il figlio scopre la verità su suo padre e sulla rete di amicizie che lo circondava. In Portogallo Pietro è diventato Manuela, una figura che Jacopo, inconsapevolmente, ha incontrato nella sua infanzia. La rivelazione su Pietro non è un colpo di scena fine a sé stesso: è il cuore tematico del romanzo. È attraverso questa verità che Jacopo affronta la sua identità, il suo dolore, il rapporto con la madre, e la fragilità delle relazioni familiari. Il viaggio in Portogallo non è solo geografico, ma simbolico: è un viaggio nelle acque profonde dell’identità, della memoria, del perdono.

Nel rapporto con Pietro/Manuela c’è un’eredità, simbolica e concreta, che Jacopo deve accettare. La figura di Pietro/Manuela diventa così uno spirito guida: non è più solo l’uomo assente, ma una persona che ha vissuto autenticamente, e che richiede riconoscimento nonostante la sua morte.  

Pietro è un personaggio potentissimo: tutto ruota attorno al suo enigma, alla sua incapacità di stare, alla sua morte che è anche un ritorno. Alla sua fuga da una identità che non riusciva a vivere con serenità nella vita che aveva costruito. La rivelazione più potente, cioè che Pietro non è rimasto semplicemente “Pietro”, è il fulcro della storia. La sua morte nel fiume, avvenuta durante una delle sue nuotate serali, ha un valore simbolico potente: l’acqua come luogo di rinascita, di rischio, di libertà; e al tempo stesso come confine estremo, dove il corpo ritrova la sua fragilità.
Jacopo dovrà accettare che il padre che ha cercato tutta la vita non era perduto, ma semplicemente altrove: in un’altra pelle, in un’altra storia, lontano dalla vergogna e dalla paura.

Mina incarna il lato più terrestre del libro: la sopravvivenza quotidiana, la forza muta di chi si trova a crescere un figlio col peso di ciò che non può, non vuole o non sa raccontare. Mina, ha taciuto per anni non per tradimento, ma per proteggere un segreto molto delicato e importante. Tocca a lei, in a una sorta di lettera indirizzata a Jacopo, tornare a ritroso nel tempo, e provare a spiegare la sua reticenza, e, finalmente, a ripercorrere “una storia d’amore, con dei colpi di scena”.

Quinto è amico e collega di Jacopo nel cimitero; tra di loro c’è un rapporto stretto, di amicizia e confidenza, è il suo contrappunto morale. Non è solo un compagno di lavoro ma una figura di sostegno concreto: la sua amicizia con Jacopo è significativa, non solo per il viaggio fisico in Portogallo, ma anche come legame morale ed emotivo. Quinto attraversa un momento difficile nella sua vita privata: sua moglie lo caccia di casa per fare posto all’amante, e Jacopo gli offre rifugio. Quinto è un ponte tra Jacopo e il mondo, una figura che lo aiuta a reggere il peso emotivo del viaggio; è un po’ la famiglia d’elezione di Jacopo.

Il romanzo è attraversato da alcuni temi dominanti. L’acqua come memoria, che trascina, conserva e cancella. L’immagine dell’acqua può essere vista anche come una metafora della trasformazione: l’identità non è statica, e nuotare di notte in un fiume tempestoso significa affrontare se stessi, rischiare, ma anche liberarsi.
La paternità mancata, osservata da lontano, nei suoi silenzi e nelle sue ferite. La formazione di un’identità incompleta, che cerca appigli in un passato continuamente elusivo. Il confine tra presenza e assenza, tra ciò che resta e ciò che scorre via. Bravi trasforma questi temi in immagini più che in concetti: una nuotatrice che solca il fiume, una lettera arrivata con anni di ritardo, un gesto quotidiano che diventa rivelatore.

La prosa di Adrián Bravi è controllata, elegante, quasi meditativa. Le frasi sono brevi, essenziali, eppure dense. La sua scrittura fa pensare a una corrente lenta che riporta a galla frammenti: una parola dimenticata, un ricordo, un gesto che si ripete. Non cerca il colpo di scena, ma la risonanza emotiva. Il ritmo dilatato, il tono sommesso, l’atmosfera rarefatta invitano a una lettura in ascolto, come se ogni pagina chiedesse al lettore di respirare più profondamente.

La nuotatrice notturna è insieme presenza reale e allegoria. Rappresenta ciò che sfugge, il desiderio di attraversare l’oscurità, la libertà di muoversi in un territorio ambiguo, tra luce e ombra. È una figura che nuota dove gli altri non osano, e per questo diventa specchio del percorso interiore di Jacopo: anche lui, in fondo, è costretto a nuotare nelle acque torbide della propria storia familiare.

Ripercorrendo l’esperienza di lettura di questo romanzo posso dire che ho apprezzato l’atmosfera che lo caratterizza, sempre sospesa e capace di incuriosire, che rivela gradualmente, e anche la profondità emotiva che sa trattare le relazioni umane fragili, con delicatezza e sensibilità. D’altro canto però, a mio parere, ciò crea una lentezza narrativa che non ho sempre apprezzato.

Adrián N. Bravi (Buenos Aires, 1967), argentino di origine ma da molti anni residente in Italia, è una delle voci più atipiche del panorama narrativo contemporaneo. Librario e traduttore, ha affinato una scrittura contemplativa, ironica, attraversata da una malinconia lieve ma costante. I suoi romanzi, spesso ambientati in luoghi di confine – fiumi, villaggi, territori marginali – esplorano la fragilità delle vite ordinarie e la forza narrativa delle omissioni.
Ho molto apprezzato Adelaida, che vi consiglio come lettura.

Con La nuotatrice notturna Bravi conferma la sua capacità di trasformare il quotidiano in materia poetica, facendo del silenzio un linguaggio e dell’acqua un archivio di storie che continuano a muoversi sotto la superficie.

Qui potete leggere l’incipit.

Una replica a “Adrián N. Bravi, La nuotatrice notturna. Nel fiume delle identità by Pina Bertoli”

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