Troncamacchioni è un libro di Alberto Prunetti, un romanzo storico o una storia romanzata, un’opera di epica moderna, come fa intendere l’autore nella pagina introduttiva, nella quale si propone di cantare la Maremma di cento e più anni fa, una Maremma “ribelle, sovversiva e indomita”, non ancora “bonificata”, resa domestica e innocua. Una Maremma che conosco perché è dove vado al mare: Follonica, Scarlino, Gavorrano, il Puntone. Ma conosco la Maremma di oggi, addomesticata, con le sue belle spiagge frequentate dai bagnanti, con le sue cittadine turistiche piene di ristoranti, con i borghi appollaiati sui cocuzzoli, dall’aspetto ancora medievale, ma ripuliti, abbelliti per i turisti che vengono ad ammirare palazzi e castelli e a gironzolare per le stradine acciottolate tutte in salita. Persino Gavorrano, la cui notorietà si deve alle miniere in cui tanti lavorarono fino a schiantare e tanti morirono, come nella tragedia di Ribolla, raccontata da Luciano Bianciardi e Carlo Cassola; Gavorrano dove fu rinchiusa e morì Pia de’ Tolomei: persino Gavorrano oggi è un anonimo paesotto tranquillo e la famigerata miniera si può visitare indossando un casco di protezione.
La storia raccontata da Prunetti parla invece di contadini e carbonai, di banditi, rapinatori, renitenti alla leva, socialisti e anarchici, di gente che viveva nascosta nell’impenetrabile macchia mediterranea, dove ci si deve far strada tra rovi e sterpi, a troncamacchioni, come vuole il titolo. Tutto inizia nel 1906, con un gruppo di giovani campagnoli, semiselvaggi, che si presentano a Grosseto per la visita di leva. Tra di loro c’è anche Domenico Marchettini, detto il Ricciolo. Domenico e altri giovani saranno protagonisti di episodi di lotta e ribellione, vivranno alla macchia, estorceranno soldi ai ricchi, si rifiuteranno di partire per il fronte, allo scoppio della Prima guerra mondiale, o diserteranno, non essendo disposti a morire per il re, per la bandiera italiana, per conquistare un piccolo tratto di territorio o la cima di un monte su in Veneto. Gli stessi che poi, nell’immediato dopoguerra, saranno perseguitati dalle forze dell’ordine e aggrediti, picchiati e anche uccisi dagli squadristi finanziati dalla borghesia agraria. Loro stessi si macchieranno di gravi crimini, come l’uccisione di Antonio Mucciarelli, possidente e fascista della prima ora, e di suo nipote Enrico Stefani, ingegnere. Oltre a Domenico Marchettini, si parla di Giuseppe Maggiori, Gualtiero Bucci, Robusto Biancani, Albano Innocenti e altri ancora. Ricostruzione storica e epica degli ultimi banditi maremmani, per i quali si potrebbe usare il verso di Dante, “quelle fiere selvagge che ‘n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi colti”, il libro di Prunetti è accurato, dettagliato e avvincente come una ballata popolare, dove i personaggi abitano luoghi mitici, tuttora esistenti ma del tutto stravolti da una modernità che ne ha cancellato i tratti caratteristici, e hanno nomi altisonanti e insoliti: Atea, Comunardo, Darvin, Proleraria, Libero, Guerriglio, e i due fratellini Dina e Mite.





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