Quello che possiamo sapere, di Ian McEwan, uscito poco più di un mese fa per Einaudi, è un romanzo distopico, sorprendente e avvincente, complesso e articolato ma estremamente godibile, proprio come quel genio del suo autore ci ha abituati da sempre.
Siamo nel 2119: uno studioso di nome Thomas Metcalfe prende il traghetto da una località chiamata Port Marlborough, diretto verso Maentwrog-under-Sea, nella Snowdonia. Non avevo mai sentito parlare della Snowdonia e nemmeno di Maentwrog-under-Sea, né della biblioteca Bodleiana che Metcalfe si accinge a visitare, quindi mi sono chiesta se si trattasse di località realmente esistenti o fantastiche. Una rapida consultazione di Wikipedia mi ha chiarito quanto segue: esiste Marlborough, in Inghilterra, ed esiste Port Marlborough, in Nuova Zelanda. Esiste Maentwrog, nel Galles, ma non esiste Maentwrog-under-Sea. La Snowdonia si trova nel Galles, ma la biblioteca Bodleiana è a Oxford. Per andare da Marlborough alla Snowdonia non occorre il traghetto, e soprattutto la Bodleiana non è lì. Dunque, nel 2119, il mondo è diverso da quello che conosciamo: in particolare, come ci sarà chiaro andando avanti nella lettura, la Gran Bretagna è stata in parte sommersa dal mare ed è diventata un arcipelago.
Via via che procede nel racconto, McEwan accumula una serie di piccoli indizi che ci fanno capire quanto il mondo sia cambiato, di qui a un secolo: tra guerre nucleari, inondazioni e altre catastrofi climatiche, la configurazione degli oceani, dei mari e delle terre emerse si è modificata grandemente, la popolazione si è ridotta della metà rispetto a oggi, la tecnologia è nettamente retrocessa e la vita quotidiana delle persone è molto più rustica e spartana rispetto a quella cui sono abituati i britannici del XXI secolo; guerre e rivoluzioni imperversano ovunque e la Nigeria è diventata la più grande potenza del mondo. In tutto questo sconvolgimento che, dicevo, ci viene rivelato gradualmente e con sapienza via via che il racconto si dipana, due studiosi, Thomas e la sua compagna Rose, sono impegnati in una ricerca su un grande poeta del XXI secolo, Francis Blundy, e su un suo poemetto scomparso, la Corona per Vivien: una corona di 15 sonetti che Blundy lesse davanti a una cerchia selezionata di amici il giorno del 54° compleanno di sua moglie Vivien, e di cui forse esiste una sola copia su pergamena che nessuno ha mai visto, a parte gli ospiti di quella serata nota come “Il Secondo Immortal Convivio”.
È Thomas, in particolare, ad avvertire il fascino di questo poeta un tempo celeberrimo e della sua Corona, ma soprattutto di Vivien, una figura complessa di intellettuale e di donna della quale si innamora platonicamente, causando l’irritazione di Rose. Thomas è affascinato dalla vita che gli inglesi del XXI secolo potevano condurre, dalle campagne nelle quali potevano passeggiare, da tutto un mondo che non esiste più ma che lui riesce a conoscere alla perfezione grazie a internet, che ancora funziona e che custodisce nei suoi archivi virtuali una massa sterminata di dati relativi alle persone che negli anni Duemila, prima delle guerre nucleari e delle catastrofi climatiche, affidavano immagini, filmati, pagine di diario, conversazioni e corrispondenza alla rete.
Una visione profetica di quello che potrebbe essere il nostro futuro, tra guerre e disastri ambientali, si coniuga nel romanzo con il tema della memoria, sapientemente declinato nell’ossessione di Thomas per il passato cui fa da contraltare la demenza di Percy, il primo, amatissimo marito di Vivien; la passione per la letteratura, le vicende private sia di Thomas e Rose, sia di Vivien e Blundy e della loro cerchia di amici e amanti; non manca poi il tratto avventuroso, con la spedizione che tra mille pericoli Rose e Thomas compiono alla ricerca del Casale dove Blundy e Vivien abitavano in mezzo alla campagna inglese, ora trasformata in una serie di isolotti, e dove si svolse la lettura della famosa, introvabile Corona.





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