
Jean-François Millet (4 ottobre 1814 – 20 gennaio 1875) parlando del suo dipinto, disse di essersi ispirato “semplicemente” alla quotidianità contadina vissuta da ragazzo nella sua famiglia. Sua nonna, continua spiegando, al suono delle campane non ha mai esitato una sola volta, ed un solo istante, ad ordinare di deporre gli attrezzi e a lasciar perdere la terra ed il suo “frutto” per un momento, quello per recitare L’Angelus. Un concetto che Millet esalta straordinariamente bene nell’opera. Tutto si ferma, c’è un eterno silenzio che sembra avvolgere ogni cosa, solo l’evocatico vibrare basso, umile e dignitoso del tono d’una sentita preghiera. Tutto è quiete. Le loro teste chine, il cappello di lui tra le mani in segno di rispetto, quelle di lei giunte a cospetto, i visi e le posture affaticate disegnano egregiamente il ritratto di un’umanità reale, cruda e dolente, non indolente, sempre e comunque indomita, presente e cosciente. Lui, di spalle (non si pensi con fare offeso e sdegnato) ad un chiarore che s’apre divino, angelico (non solo in riferimento alla tecnica) e lei, sulla stessa linea quasi a celarsi maldestramente nella quasi ombra del corpo di lui, entrambi soli, ed insieme, in una profonda confessione. Potrebbe sembrare una costrizione, un volgare e sciocco timore, invece vuol dire libertà.
I piedi poggiano su una terra dura, la forca curva, un campo così grande da lavorare, una cesta con un poco di qualcosa per cui ringraziare, una terra aspra, arida, nessun animale a supporto, nessun grande e “velocizzante” macchinario, non un aratro, ad evidenziare la fatica inevitabile per l’essere umano, ed insieme ad accentuarne il senso di immutata gratitudine. È luce e quindi ombra, Ombra e quindi Luce, olio su tela come aloe su carne. Sagome con una certa nobiltà, in primis d’animo, nonostante il ruolo da contadini vorrebbe per molti dire altro, uno spirito coltivato con fatica e l’abnegazione, come quella terra, non certo loro regalata, mai scontata. Potrebbe sembrare una costrizione, un volgare e sciocco timore ancestrale, invece al dunque, sarà libertà.
Ieri, scorrendo la galleria delle foto sul mio smartphone, ho ritrovato un vecchio screenshot di una notizia datata gennaio 2023:

È stato questo casuale (?) ritrovamente che mi ha spinto al bisogno di guardare nuovamente L’Angelus di Millet. Non è stato un “volerlo guardare” ma un istintivo e prepotente “ritrovarmi a guardare”.
Quanto sarebbe folle, oggi, veder qualcuno fermarsi così, al suono di campane (quasi folle, oggi, già questo) in una circostanza pubblica, per pregare quel Dio esattamente come fanno i contadini dipinti da Millet?
“Che sfigati!”, “Quelli sono pazzi!”, “Ancora non si sono evoluti?!”, “Che ingenui!” “Poveracci!”. Al tempo della privacy. Allo stesso tempo del tutto il peggio merita la luce della ribalta. Tutto in piazza. Non c’è tempo da perdere con queste sciocche credenze, è vero, bisogna sgomitare, obbedire per trasgredire (ora ridere! Ridere!), andare non importa dove, fatturare, far fatturare, prelevare, inutili cose da testimoniare. Non avrai altro dio all’infuori di te! Ma avrai almeno cento padroni con i piedi sopra di te. Noi questo non te lo diremo. Tu non lo capirai. Avrai la sensazione che il tuo cervello sia la cosa più giusta e perfetta possibile, crederai d’esser frutto del tuo genio, del tuo buon ragionamento, senza alcun trapassato remoto, perdendo senza attenzione il tuo libero arbitrio. Come nato in provetta, vivrai su una via perfetta. No, non ho detto retta. Parlerai. Come farà piacere a noi. Consumerai. Come vorremo noi. Penserai. Come ti insegneremo noi. Vedrai. Quello che sventoleremo noi. Non te lo diremo, e nemmeno tu lo vorrai. Magari invece te lo diremo, la sola cosa che non ti berrai.
“Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano.” Matteo 7:13-14.

C’è qualcosa di strano in questa immagine. Qualcosa di troppo. Di erroneo. “Cosa” lo deciderai tu.*
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